Rumbullion

 

 

 

 

 

 

 


"Nessun altro distillato può rendervi tanto felici di essere vivi.
Tutta la vita umana è contenuta, come il genio, dentro a quella bottiglia davanti a voi.
Basta essere coinvolti dal profumo e verrete trasportati in una nuova e più dolce dimensione, piena di spezie, agrumi e frutti tropicali.
Chiudete gli occhi e riuscirete a sentire il rumore del mare che accarezza la sabbia bianca."


Dave Broom, 2003.

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcuni decenni fa decisi di collezionare rum, rhum o ron per l'aura che lo pervade, caratterizzata da due elementi per me molto intriganti: la pirateria e il mare, nello specifico il Caribe, elementi a cui ho dedicato una pagina intera e "on mestée al mes" nel mio sito. Distillato che riporta inevitabilmente a scenari esotici, colori caldi, sentori avvolgenti, avventura e richiami di ottima letteratura, grazie ad Hemingway, avido consumatore.
Molto più seducente e fascinoso del cognac, nel mio immaginario rimembrante la nobiltà francese, del whisky, rimembrante le umide e brumose lande scozzesi e della grappa, rimembrante valli e montagne italiane.
Collezione che, seppur limitata alla produzione dell'area caraibica, smisi dopo una decina d'anni per la mancanza di spazio di archiviazione, resomi conto delle -non preventivate- numerose etichette reperibili sul mercato internazionale. Occorre precisare che non ho mai degustato la stragrande parte dei rum. Per l'acquisto mi indirizzavo sulle rarissime recensioni, distillatori e invecchiamenti particolari veicolati unicamente da giornali più o meno specializzati e pubblicità occasionali, supportato dai consigli di un amico con enoteca e frequentazioni di enoteche milanesi. All'epoca non vi era il web: oggi avendolo a disposizione tutto è estremamente facilitato nel poter acquisire informazioni, entrare in vetrine commerciali internazionali, leggere recensioni, vagare per siti specializzati.
Collezione che, sospesa nel 2000, vorrei riprendere nel 2021 dedicandomi -con qualche mirata eccezione riferita ai rum artigianali delle isole caraibiche- solo ai clairin haitiani blancs di produzione tradizionale, non inficiati da passaggi in botti e invecchiamenti.
Le condizioni delle etichette generalmente non sono buone: la permanenza nella taverna di Ca fiù 'd reusa ha causato macchie di umidità e attacco di insetti cartofagi.
Concludendo, essendo stata una piccola passione, ho ritenuto doveroso dedicare al rhum una pagina del sito.

 

 

 

Herman Moll, 1732.


 

Di seguito, nella pagina introduttiva, troverai l'etimologia del nome (Davide Staffa), la narrazione storica circostanziata all'area caraibica delle origini del rum (Marco Pierini, sommo storico del rhum), il processo di coltivazione/produzione (Davide Staffa), la suddivisione originaria delle tre "scuole coloniali" (Sapere bere.com), un commento critico con la più recente accreditata classificazione dei rhum (Thomas Pennazzi) e un aneddoto su Hemingway. Il tutto intervallato con alcune immagini, tra cui dipinti di celebri pittori aventi oggetto bottiglie di rhum.
Le pagine secondarie (indice a piè pagina) illustrano per paese di produzione alcune bottiglie di rum collezionate, salvo le eccezioni sopra citate, sino al 2000, premettendo che le prime pagine sono dedicate alla presentazione di rhum distillati nel XIX secolo, e che una pagina è dedicata all'Equiano per pregevole e nobile specificità. Nelle pagine, ove reperiti, recensioni, filmati, aventi oggetto la singola bottiglia collezionata e relativa distilleria.
Se vuoi approfondire il tema, consiglio i volumi "Rum" di Dave Broom, "Il grande libro dei rum" di Davide Staffa, l'imperdibile "Nomade tra i barili" di Luca Gargano e "Atlas du rhum" sempre di Luca Gargano. Per il web: http://www.gotrum.com/ - http://thelonecaner.com/ - http://rumaniacs.com/ - http://www.therumhistorian.com/.
Quale colonna video-sonora un Carlos Santana live che interpreta come intro "Suenos", perché il ron evoca sogni: giorni felici, spiagge incantate, velieri, donne dalla pelle ambrata...

 

 

 

 


 

 

 

L'etimologia.


Non è chiara l'origine del nome.
Kill devil o "ammazza diavolo" era chiamato dagli inglesi nelle loro colonie per i problemi che causava con l'abuso, cioè le sbornie. Era conosciuto ed utilizzato anche per le sue note capacità medicinali ed anestetiche pensando che potesse curare soprattutto le polmoniti ed altri problemi di salute ancora sconosciuti a quel tempo.
Rumbowling o soprannominato dai bucanieri semplicemente "rumbo" (da rumore, violenza, gran trambusto che si faceva sulle navi britanniche al momento in cui si distribuiva la razione giornaliera di distillato agli equipaggi) che col tempo poteva essersi abbreviata in rum.
Altri legano il nome all'origine del prodotto e cioè Rumbullion dai rumori delle caldaie di distillazione ("rumble" da gorgogliare e "boil" da bollire in francese "bouillir"). In Francia fu abbreviato in rhum, ron e rom nei territori di influenza spagnola, rum invece nei paesi Anglosassoni.
Un'altra probabile origine etimologica è da attribuire proprio alla parte finale del suo nome scientifico è saccharum officinarum.
Alcuni invece attribuiscono la responsabilità del suo nome ad un monaco benedettino tedesco conosciuto come Basilio Valentin che chiamò questo liquido "rectificando verum medicinam" che in modo abbreviato rimane semplicemente rum.
Qualcuno arrivò a chiamarlo anche sangue di Nelson. Questa leggenda ricorda la storia che l'ammiraglio della marina Inglese Horatio Nelson rimase ucciso durante la battaglia di Trafalgar e per essere riportato in patria in Inghilterra nel modo più integro possibile si pensò di inserire la salma in una botte colma di rum. All'arrivo la botte venne aperta e il rum era scomparso. Il corpo che doveva essere sotto spirito venne rimosso e dopo un'ispezione si scoprì che i marinai avevano praticato un foro sul fondo della botte e bevuto tutto il rum, bevendo in questo modo anche il sangue di Nelson.
Esiste anche una storia ancora in uso in Malaysia secondo cui esiste una bevanda millenaria a base di canna da zucchero chiamata "drum".
La prima menzione ufficiale scritta della parola rum è comunque da attribuire ad un'ordinanza del governatore e del Consiglio della Giamaica datata 1661. (Davide Staffa, 2018). 


 

 

 

 

Georges Braque(1882-1963). La bouteille de rhum. 1912.

 

 

 

 

 

Salvador Dalì (1904-1989). Siphon et petit bouteille de rhum. 1924.

 

 


 

Le origini caraibiche.


Nel 1647 Richard Ligon, un cavaliere, un realista, rovinato dalla guerra, lasciò l'Inghilterra e navigò verso l'isola di Barbados, una colonia inglese nei Caraibi, in cerca di fortuna. Avrebbe trascorso 3 anni. Tornò in Inghilterra e scrisse un libro sul suo viaggio: "A true and exact history of the island of Barbados", pubblicato a Londra nel 1657.
Questo libro è (forse) la prima vera prova dell'esistenza del rum, anche se non si chiamava ancora rum: "La bevanda dell'Isola, che è fatta dalle scremature dei bollitori di rame dove bolle lo zucchero, che chiamano kill-devil". Kill-devil è quindi il primo nome conosciuto con il quale il rum entra nella storia.
"Infinitamente forte, ma non molto piacevole nel gusto; è comune, e quindi di poco valore [...] La gente ne beve molto, anzi di fatto ne beve troppo e questo spesso li lascia addormentati per terra, una cosa molto dannosa [...]". Ligon prosegue dicendo che questa bevanda "... ha la virtù di curare e rinfrescare i poveri negri di cui dobbiamo avere una cura speciale, perché i nostri profitti derivano dal lavoro delle loro mani. È utile anche ai nostri servitori cristiani(bianchi), poiché, quando sono esausti per il duro lavoro e la sudati sotto al sole per dieci ore al giorno, con lo stomaco debilitato e sono molto indeboliti nel loro vigore, un bicchierino o due di questo spirito li conforta e rinfresca".
Secondo Ligon, kill-devil era ottenuto da scremature e non da melassa, cioè, dalla scrematura della schiuma galleggiante rimasta dopo l'ebollizione del succo di canna da zucchero nei bollitori di rame. A quanto pare, all'epoca la melassa veniva nuovamente bollita per produrre più zucchero, di qualità inferiore.
Più avanti nel libro, Ligon raccontò della prima vittima del rum: uno schiavo portò una candela accesa troppo vicino a un barattolo di rum che prese fuoco, uccidendolo. Disse anche che tutte le piantagioni di zucchero importanti avevano una propria distilleria e alcuni operai specializzati, e che il rum rappresentava una rilevante integrazione del reddito dei piantatori, i quali, oltre a usarlo per il consumo dei loro schiavi neri e servi bianchi, lo vendevano nell'isola e all'estero.
Richard Ligon era una figura affascinante e il suo è un grande libro, una testimonianza diretta dei primi passi verso quel sistema economico basato su zucchero, rum e schiavitù che avrebbe plasmato la storia dell'Occidente e del mondo intero. Ne riparleremo ancora. Basti pensare ora che già nel 1647 alle Barbados si produceva, si consumava e si vendeva rum. Era uno spirito molto forte, non gradevole. Era economico ed era bevuto in grandi quantità dalle classi inferiori. Avrebbe potuto essere dannoso, ma allo stesso tempo si pensava che avesse anche qualità curative. Ed era già economicamente rilevante. Non male per un nuovo prodotto, che apparentemente era stato inventato solo pochi anni prima. (Marco Pierini, 2013)

 

 

 

 

Barbados è una piccola isola, lunga 21 miglia e larga 8 miglia nel punto più largo, per un totale di poco più di 160 miglia quadrate. È la più orientale delle Piccole Antille. È bassa e piatta e non facile da vedere, ma a causa dei venti dominanti è stata delle dieci la prima terra in cui si imbatterono le navi in partenza dall'Europa. È un paese indipendente, membro del Commonwealth britannico.
Gli inglesi vi si stabilirono nel 1627. Cercavano una terra tropicale dove coltivare raccolti redditizi. Provarono il cotone, il tabacco e altre colture, ma con scarso successo. Poi provarono la coltivazione della canna da zucchero e fu un'esplosione. Quando Ligon arrivò alle Barbados nel settembre del 1647, lo zucchero era già il cuore dell'economia locale. Per fare spazio alla canna da zucchero, le foreste erano state abbattute mentre altre colture erano state abbandonate. Questo richiese fatica in abbondanza.
La coltivazione della canna da zucchero era un lavoro estremamente duro. Prima il taglio, spaventosa fatica, sotto il sole, con tempi ristretti per la manodopera onde approfittare del breve periodo in cui il tenore zuccherino era al massimo. Quindi la canna doveva essere rapidamente schiacciata. Ancora un lavoro duro e anche pericoloso. Spesso le braccia degli schiavi venivano schiacciate insieme alla canna. In seguito, qualche piantatore "filantropo" forniva agli schiavi un machete per tagliare il braccio imprigionato e salvare l'uomo. Infine, per ottenere lo zucchero, il succo doveva essere bollito più volte in un grande bollitore rame, in un clima tropicale già caldo.
Nelle Barbados di Ligon la maggior parte della forza lavoro era costituita dai "nostri servi cristiani". Erano chiamati "servi a contratto", cioè servi vincolati a contratto. Erano poveri cittadini inglesi che, nella speranza di una vita migliore, tentavano la fortuna nelle colonie. Ma dovevano arrivarci e le spese di viaggio erano alte. Così quei disgraziati accettavano di rinunciare alla loro libertà e di servire un padrone per un certo periodo di tempo, tipicamente 5 anni, in cambio di trasporto, alloggio e una piccola somma finale. Una volta firmato il contratto, perché si trattava di un vero e proprio contratto legale, il padrone poteva usarli a suo piacimento, trattarli come voleva e persino venderli ad altri. A volte non erano disposti, ma venivano reclutati con la forza.
Poi c'era una minoranza di schiavi neri comprati in Africa. Se sopravvivano alla riduzione in schiavitù e al terribile "passaggio di mezzo" sulle navi degli schiavi, la loro vita era, secondo Ligon, leggermente migliore di quella dei servi a contratto. Gli schiavi erano proprietà dei loro padroni, e anche i loro figli, se ne avevano. Quindi, era nell'interesse dei coltivatori mantenerli in vita e (relativamente) sani, mentre dai domestici bianchi volevano semplicemente estrarre il massimo profitto prima della scadenza del contratto. (Marco Pierini, 2013)

 

 

 

Barbados. Ligon Richard, 1657.

 

 

Scoperta da Colombo durante il suo quarto viaggio nel 1502, l'isola di Martinica ha un'area totale di miglia quadrate 680. È lunga 50 miglia e larga 25 miglia. Nel nord una montagna supera i 4.000 piedi. È di origine vulcanica e fa parte dell'arcipelago delle Piccole Antille. È un dipartimento francese d'oltremare, quindi parte integrante della Francia e dell'Unione Europea. I francesi vi si stabilirono nel 1635. Come gli inglesi alle Barbados, tentarono di coltivare diversi prodotti senza molto successo e, come loro, intorno al 1640 iniziarono la coltivazione estensiva della canna da zucchero importata dal Brasile e la produzione di zucchero.
La distillazione divenne subito un elemento centrale dell'industria dello zucchero locale. Già nel 1640 un manoscritto dell'isola dice che "gli schiavi amano un'acquavite forte che chiamano bruciatore di stomaco". "Eau de vie" era il nome francese dei distillati in generale. Ma il primo vero resoconto della produzione di rum in Martinica si trova nel libro "Histoire generale des Antilles habitées par les Francois" scritto da Jean Baptiste Du Tertre e pubblicato a Parigi nel 1667. Du Tertre era un frate domenicano e un uomo di scienza. Nel 1640 fu inviato come missionario nelle Antille francesi e vi rimase fino al 1658. Aveva anche la stoffa di un antropologo, curioso e attento ai costumi degli indigeni. Descrisse così il processo di produzione del rum: "Le canne esauste e vuote e anche le scremature [...] non sono inutilizzabili, perché le scremature del secondo e del terzo calderone, e tutto ciò che trabocca per ebollizione dal calderone corre in una cisterna dove viene conservata per fare acquavite."
Il suo disegno di una piantagione di zucchero include un alambicco, dimostrando così che la distillazione era già parte integrante delle prime piantagioni di zucchero dell'isola.
Il disegno di Du Tertre mostra un solo alambicco, con un semplice tubo che convoglia i vapori dell'alcool attraverso una botte di legno, riempita d'acqua per raffreddarli, in una cisterna per il distillato. L'alambicco è simile a quelli disegnati nei libri sulla distillazione del tempo. La presenza di un solo vaso, e non di due come nel disegno di Ligon, suggerisce che la tecnica fosse meno avanzata e forse il prodotto peggiore, o comunque che i coloni francesi della Martinica dedicavano meno attenzione al rum rispetto ai coloni inglesi delle Barbados.
La Martinica gareggia quindi con le Barbados per il titolo di primo produttore noto di rum. L'egemonia culturale anglosassone è un dato di fatto. Un altro fatto storico inconfutabile è che per secoli gli inglesi sono stati di gran lunga i maggiori produttori e consumatori di rum in tutto il mondo. Tutto questo spiega perché l'attenzione di accademici, divulgatori ed entusiasti si è concentrata sulle Barbados e molto meno sulla Martinica. Ma i fatti sono chiari: la coltivazione della canna, la produzione dello zucchero e la distillazione del rum, sulle due isole, sono avvenute contemporaneamente.
Ma è credibile che in pochissimi anni questi coloni abbiano iniziato a coltivare la canna e produrre zucchero, inventato il rum e sviluppato anche una regolare produzione e vendita? Gli inglesi arrivarono nel 1627, i francesi nel 1635. Quando arrivarono non avevano la canna da zucchero. L' hanno importata pochi anni dopo, dal Brasile, insieme alla necessaria competenza. La coltivazione della canna su larga scala inizia verso il 1640. E pochi anni dopo inventarono già il rum, cioè furono i primi ad applicare tecniche di distillazione al succo fermentato di canna. E in questi pochi anni, oltre ad inventare questo nuovo processo produttivo, lo resero qualcosa di normale, diffuso, redditizio e anche tecnicamente avanzato. E lo fecero in due isole diverse, appartenenti a due diversi imperi coloniali. No, non è credibile. Le fonti storiche mostrano che sia le Barbados, sia la Martinica furono senza dubbio la culla del rum, ma non il suo luogo di nascita. Al contrario, a mio modesto parere, i fatti lo escludono. La nostra ricerca sull'origine del rum, quindi, non è ancora finita. (Marco Pierini, 2013)

 

 

 

Martinica. Visscher Nicolas Jansz, 1657.

 

 

Prima di proseguire, definiamo con precisione il nostro campo di indagine. Stiamo cercando di capire chi ha avviato la produzione commerciale di rum su larga scala. Dove è iniziato e quando. Lo ripeto ancora, per motivi di chiarezza: produzione commerciale su larga scala.
Non stiamo cercando esperimenti isolati, eventi casuali, distillazioni artigianali che non hanno mai varcato i confini locali e poi sono arrivate al nulla.
Stiamo cercando di stabilire chi ha iniziato il viaggio del rum, quel viaggio che è continuato ininterrottamente fino ad oggi.
Non è facile. Per ragioni di prestigio nazionale e aziendale, molti rivendicano il diritto di primogenitura del rum, spesso basandosi su frasi tratte, fuori contesto, da documenti antichi, fonti spesso dubbie e di difficile verifica.
Inoltre, molto spesso, il rum (cioè il risultato della distillazione dei sottoprodotti della canna da zucchero) viene scambiato per varie bevande alcoliche ottenute dalla mera fermentazione di quegli stessi sottoprodotti. Al massimo, questi ultimi possono essere considerati antenati del rum.
La fermentazione esiste in natura, è un processo naturale, spontaneo che è stato perfezionato dagli uomini per i propri fini. È un processo relativamente facile. Quando l'America è stata scoperta, in Europa, Asia e Africa le bevande fermentate, il vino, la birra, ecc. Erano diffuse da millenni.
La distillazione, al contrario, non esiste in natura, è un processo del tutto artificiale, ideato e realizzato dall'uomo. Ed è estremamente difficile.
La storia della distillazione iniziò con gli scienziati e alchimisti arabi del IX secolo, che la utilizzavano per studi e ricerche di vario genere, ma principalmente per la realizzazione di profumi e alcol per uso medicinale. Nel XII secolo giunse in Italia dove venne utilizzata per distillare il vino, creando così una nuova, meravigliosa bevanda chiamata in latino "aqua vitae", da cui derivano l'acquavite italiana e l'acquavite francese, ovvero l'acqua della vita. "Est consolatio ultima corpor is humani" ("ultimo conforto del corpo umano"), scriverà in seguito Raimond Lull. Si diffuse poi in tutta Europa, ma in quantità limitate, piuttosto costose, destinate principalmente a medici e farmacisti. Nel corso dei secoli qua e là si cominciò a produrre distillati, ma solo all'inizio del XVII secolo iniziò in Europa una vera e propria produzione su larga scala destinata al consumo di piacere dei bevitori. E non c'è motivo di pensare che nei Caraibi fosse iniziato prima.
La produzione di zucchero era diffusa a Hispaniola già nel 1520. Poco dopo il Brasile divenne un grande produttore di zucchero, poi altri paesi seguono. Fin dall'inizio, gli schiavi bevevano una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione dei sottoprodotti dello zucchero. Pertanto, era trascorso più di un secolo tra l'inizio della produzione di zucchero nel Nuovo Mondo e l'emergere del rum. È proprio in questo secolo che avvenne il passaggio decisivo dalla semplice fermentazione alla distillazione.
Abbiamo quindi stabilito il "cosa" della nostra ricerca. Per cercare di scoprire chi, dove e quando dobbiamo tornare al libro di Ligon. (Marco Pierini, 2013)

 

 

 

 

Il libro di Ligon non è solo la storia di un viaggio, scritto per intrattenere i suoi lettori. È anche una guida pratica per commercianti e investitori desiderosi di iniziare a fare affari con le Barbados.
Pertanto, Ligon è sempre estremamente preciso e accurato. Opportunità, risorse, rischi, tecniche e costi vengono analizzati minuziosamente, nei dettagli, incluso il disegno in scala di uno zuccherificio e i mesi migliori per portare alle Barbados le merci di cui l'isola ha bisogno. E, naturalmente, un'attenzione particolare è riservata allo zucchero, grande ricchezza dell'isola.
Tuttavia, quando parla di come iniziò la coltivazione della canna da zucchero alle Barbados, Ligon è insolitamente vago, quasi reticente. Esaminiamo attentamente le sue parole.
Come sappiamo, i primi coloni cercarono di coltivare vari raccolti, compreso il tabacco, ma con scarso successo. Poi arrivò la svolta.
"Nel momento in cui siamo sbarcati su quest'isola, che era agli inizi di settembre 1647, siamo stati informati, in parte da quei piantatori che abbiamo trovato lì e in parte dalla nostra stessa osservazione, che le grandi opere di produzione dello zucchero erano solo appena praticate dagli abitanti. Alcuni degli uomini più industriosi, avendo ottenuto piante da Pernambuco, un luogo in Brasile, fecero loro esperimenti alle Barbados."
I coloni inglesi non possedevano le conoscenze tecniche necessarie per coltivare la canna da zucchero e quindi produrre zucchero in modo efficiente e redditizio, quindi per "due o tre anni" i loro tentativi diedero scarsi risultati.
"Ma scoprirono i loro errori nella pratica quotidiana e cominciarono un po' a rimediare assumendo nuove indicazioni dal Brasile, a volte da estranei, dalla loro stessa gente ...a volte si accontentavano di fare un viaggio lì, per migliorare la loro conoscenza in una cosa che tanto desideravano."
Comunque, conclude Ligon, solo al momento della sua partenza, nel 1650, la coltivazione della canna da zucchero e la produzione dello zucchero erano diventate veramente efficienti ed estremamente redditizie.
Attingendo alla memoria delle mie letture universitarie, direi che si tratta di passaggi travagliati, oscuri, dove l'autore lascia solo accenni, molto lontani dalla sua consueta chiarezza e precisione.
I fatti sono chiari: la coltivazione della canna da zucchero e la produzione di zucchero alle Barbados erano, nel 1647, piuttosto recenti. Le piante di canna da zucchero vennero portate da Pernambuco, in Brasile, e così si assunse la conoscenza tecnica necessaria. Anche con l'aiuto di stranieri non identificati che, difficile capirne il motivo, regalarono ai coloni inglesi, cioè sicuri concorrenti e potenziali nemici, lo know how indispensabile per avere successo.
Per tentare di decifrare l'oscurità di questi passaggi di Ligon, dobbiamo tornare al contesto in cui avvenne la colonizzazione inglese delle Barbados, alla Storia con la maiuscola. (Marco Pierini, 2013)

 

 

 

 

Oggi l'Olanda è un paese piuttosto carino. Civile, tollerante, ricco, pacifico: la civiltà europea al suo meglio. Pochi ricordano che nel XVII secolo l'Olanda costruì un vasto impero coloniale con spada e fuoco. Mentre a casa stavano combattendo una lunga e sanguinosa guerra di indipendenza contro gli eserciti spagnoli, gli olandesi si gettarono alla conquista dei mari. In Asia sopraffecero i portoghesi e si assicurarono il controllo dell'Oceano Indiano e del commercio delle spezie. In Africa costruirono relazioni e postazioni commerciali lungo la costa e divennero i principali commercianti di schiavi. In America furono i primi a colonizzare Manhattan, occuparono diverse isole caraibiche e alcuni territori continentali e quasi monopolizzarono il commercio tra le colonie inglesi e tra le colonie e l'Europa. La loro flotta mercantile era di gran lunga la più grande del mondo e Amsterdam era il centro del commercio e della finanza mondiale. E della raffinazione dello zucchero.
All'inizio del XVII secolo l'Olanda era il paese più moderno e tecnologicamente avanzato di tutta Europa. In quegli anni gli olandesi furono i pionieri della distillazione commerciale su larga scala. Si pensa che la stessa parola brandy derivi dall'olandese "gebrande wijn", che in pratica significava vino bruciato. Nel 1624 la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali occupò la regione costiera del Pernambuco, oggi Recife, in Brasile, grande produttore di zucchero. La Compagnia fece grandi investimenti, portando dall'Olanda uomini, capitali, capacità tecniche e attrezzature.
Pertanto, quando i coloni inglesi delle Barbados andarono a Pernambuco, lì incontrarono gli olandesi. Nel decennio successivo i portoghesi contrattaccarono e riguadagnarono il terreno perduto, costringendo gli olandesi a lasciare il Brasile e trasferirsi a Barbados, Martinica e nei Caraibi. Gli olandesi furono gli stranieri che ripetutamente insegnarono ai coloni inglesi l'arte difficile e costosa della produzione di zucchero. Oltre a Ligon, abbiamo numerosi resoconti del ruolo chiave svolto dagli olandesi nello sviluppo della rivoluzione dello zucchero a Barbados (e Martinica). Prestavano il capitale, insegnavano lo know how, vendevano gli schiavi e le attrezzature; infine, spedivano lo zucchero in Europa. Sappiamo che gli inglesi crearono un'industria dello zucchero tecnicamente avanzata alle Barbados sulla base della precedente esperienza olandese in Brasile. Possiamo tranquillamente dedurre che la stessa cosa è successa per quel sottoprodotto dell'industria saccarifera rappresentata dalla distillazione dei sottoprodotti dello zucchero.
Questo potrebbe spiegare anche la reticenza di Ligon. Durante gli anni della rivoluzione dello zucchero, l'Olanda e l'Inghilterra erano amici e alleati, entrambi paesi protestanti che combattevano contro la Spagna cattolica. Ma quando nel 1657 Ligon scrisse il suo libro, le cose erano cambiate. Il Navigation Act del 1651 aveva bandito le navi olandesi dai porti inglesi e subito dopo era scoppiata la prima guerra anglo-olandese. Ne consegue che fosse opportuno trascurare il contributo olandese all'origine della produzione di zucchero.
In sintesi: per un secolo il Brasile era stato il più grande produttore di zucchero al mondo. Fin dall'inizio nelle piantagioni brasiliane una bevanda fermentata a base di canna da zucchero era stata prodotta e bevuta su vasta scala. Qualcuno lì, durante quel lungo secolo, aveva forse già avuto qualche esperienza di distillazione. Poi arrivarono ??gli olandesi. Avevano le conoscenze, le capacità tecniche, le attrezzature, il capitale, la mentalità. E in Brasile avevano anche la materia prima in abbondanza. È ragionevole pensare che siano stati loro a innalzare il livello verso una vera produzione commerciale su larga scala della nuova bevanda.
La mia ipotesi è che la distillazione commerciale su larga scala di quel sottoprodotto della canna da zucchero che oggi chiamiamo rum sia stata avviata dai coloni olandesi in Brasile durante i primi decenni del XVII secolo. (Marco Pierini, 2013)

 

 

 

 

 

 

Dalla coltivazione all'affinamento.


1. La canna da zucchero.

 

Il suo nome latino è saccharum e se ne contano circa 37 specie e si possono dividere in due gruppi: uno che comprende le varietà naturali come la S. Arunclinaceum, la Bengalense, l'Edule, l'Officinarum, la Procerum, la Ravennae, la Robustum, la Sinense, la Spontaneum, ecc.. La più antica ed è quella considerata l'originale è la Saccharum Robustum, trovata e coltivata in India da almeno 10.000 anni. La Saccharum Officinarum (detta anche "cana criolla" nelle Antille) è un ibrido tra queste due, è arrivata nel tempo nel bacino Mediterraneo, in Spagna in particolare (714 d.C.) e da qui è sbarcata nel nuovo mondo grazie a Cristoforo Colombo che nel 1494, in occasione del suo secondo viaggio, portò con sé alcune talee.
Il secondo gruppo racchiude i cosiddetti ibridi che sono nati nel tempo creati dall'uomo incrociando le diverse specie con la Saccharum Officinarum cercando così di migliorare l'adattabilità della pianta al territorio, al clima o per aumentarne la produttività. Infatti incrociando l'Officinarum con la Spontaneum si è cercato di creare una canna con meno fragilità nei confronti degli attacchi delle malattie. Oggi i maggiori ibridi utilizzati sono le Canne Roseau (B59.92), la Canne Paille (R 570), la Venezuela, la Central Romana, la Canal Point. La Saccharum Violaceum è una particolare tipo di canna che come dice il nome è di colore viola, menzionata da Tussac nella "Flora delle Antille" che sembra essere stata introdotta da Batavia dopo il 1782, fiorisce un mese prima delle altre varietà e produce un succo più liquido e meglio adatto alla produzione del rum rispetto alla produzione dello zucchero.
E' una pianta erbacea alta appartenente alla famiglia delle Poaceae che trova il suo habitat naturale nelle zone tropicali e sub-tropicali. La sua moltiplicazione avviene per talea, cioè vengono effettuati dei tagli del gambo e questi tranci devono contenere almeno un germoglio. Questo pezzo di gambo viene piantato in genere a mano e dopo ogni raccolta genera automaticamente nuovi germogli chiamati polloni che una volta cresciuti daranno vita a nuove canne.
La vita di una canna può andare da 7 a 10 raccolti, dopo di che la pianta inizia a calare come rendimento e a questo punto può essere estirpata per lasciare posto ad una nuova pianta; non è difficile trovare piante che raggiungono anche i 20 anni di vita. Il frutto è il midollo che è racchiuso dentro alla canna che è molto dolce e succoso.
È molto importante che i germogli siano piantati nel momento climatico più adeguato, per ottenere il più elevato contenuto zuccherino, in modo che il succo destinato alla fermentazione possieda il minor materiale di scarto possibile.
Le foglie sono molto lunghe e lineari ed il fusto principale è un rizoma sotterraneo da cui si estendono più fusti cilindrici, nodosi e flessibili del diametro di 2/7 centimetri e che possono raggiungere un'altezza che può variare da l ai 6 metri (un metro è l'altezza nelle zone subtropicali, mentre nelle zone tropicali può crescere maggiormente). Il peso della canna va da 1 a 4 kg. Ha un ciclo vegetativo di 14/16 mesi fino a raggiungere a volte i 22 mesi e fiorisce all'incirca attorno all'ottavo-nono mese.
Questi tempi sono dettati dall'andamento climatico e dalle tipologie o cultivar differenti di canne. La maturazione ottimale la raggiunge quando la pianta inizia ad ingiallire e si notano le foglie basali che si seccano. A questo punto si effettuano prelievi di succo dal fusto con un ago specifico per esaminarne la concentrazione tramite uno strumento chiamato rifrattometro (usato anche per l'uva). Il periodo di raccolta parte verso febbraio per protrarsi sino a luglio ed oggi avviene quasi esclusivamente a macchina.
Questo periodo di raccolta è chiamato "safra", parola di origine portoghese. L'unico paese sudamericano dove la raccolta avviene a ciclo continuativo è la Colombia. La canna viene quindi raccolta, tagliandola alla base il più vicino possibile al terreno, poiché è lì che si concentra la maggior parte del dolce succo.
Il fusto della canna è così composto: zuccheri per circa il 75-92% di cui saccarosio 70-88%, glucosio 2-4% e fruttosio 2-4%, materia legnosa per il 15-16% e per il rimanente è ricco di acqua con un residuo minimo di altre componenti. Lo zucchero grezzo di canna rispetto a quello bianco raffinato derivante dalla barbabietola, è ricco di sali minerali. Esistono dei parassiti nemici della canna, i più importanti sono larve di una specie di farfalla/lepidottero chiamate i trivellatori della canna. La canna da zucchero è prodotta in circa 200 paesi sparsi per il mondo con una produzione di zucchero che si attesta su circa 120 milioni di tonnellate per anno. (Davide Staffa, 2018)

 

 


Jean Metziger (1883-1956). Nature morte au potiron et bouteille de rhum. 1917.

 

 

2. Dalla canna al rum.


I fusti maturi si tagliano alla base, si tolgono le foglie e si eliminano le cime e, raccolti in fasci, vengono trasportati alla fabbrica con i mezzi più disparati (treni, chiatte, camions, rimorchi, trattori o carretti trainati da buoi) in quantità tali da poter essere lavorati giornalmente. Infatti il segreto per avere il massimo della qualità è quello di portare il più velocemente possibile la canna fresca tagliata ai siti di lavorazione. Sono rimaste pochissime le piantagioni di canna che vengono tagliate ancora manualmente con il machete.
In alcune zone c'è l'abitudine di incendiare le piantagioni per ottenere una serie di vantaggi: le canne si impregnano di quel particolare sentore di affumicatura che si ritrova poi nel distillato finale, serve per eliminare già una parte di foglie secche direttamente nel campo e per allontanare eventuali serpenti che si annidano nelle piantagioni. Un bravo machetero riesce a tagliare fino a 500 kg di canna all'ora.
La lavorazione della canna ha un duplice indirizzo. Nelle regioni tecnicamente più arretrate e lontane dai centri di lavorazione i fusti sono lavorati direttamente presso la fattoria; essi vengono macinati, tritati, spremuti e il succo che si ricava viene bollito fino a che si ottiene uno sciroppo denso e scuro che può essere venduto per la successiva cristallizzazione per l'estrazione dello zucchero e successiva raffinazione.
Nelle aree più progredite le aziende si avvalgono della raccolta meccanizzata. Queste particolari mietitrebbie sono state sviluppate per la prima volta in Australia (raccolgono 100 tonnellate all'ora) e il loro uso è fondamentale per abbassare i costi di raccolta.
L'unico problema che può sorgere è che le canne vengano danneggiate e quindi per evitare processi dannosi di deperimento qualitativo che si innescano a rimanere troppo tempo a contatto con l'aria devono essere trasportate in tempi brevissimi alle fabbriche per la successiva lavorazione.
Appena arrivate nelle raffinerie le canne fresche vengono pesate, controllati i valori del Ph ed il tenore zuccherino, ed avviate alla lavorazione. L'industria saccarifera riceve così i fusti di canna che vengono lavati, tagliuzzati e, per mezzo di rulli, vengono schiacciati; l'estrazione del dolce succo avviene spruzzandogli sopra, tramite dei getti, dell'acqua, creando una sorta di spremuta chiamata "gampa" in Brasile oppure "guarapa" o "caldo de cana".
In questa fase le moderne macine riescono ad estrarre dal 92 al 96% di sostanze zuccherine dalle fibre. La soluzione dolce (che contiene un 10-15% di saccarosio), viene poi fatta evaporare, concentrare a caldo, chiarificare fino a rimanere lo zucchero cristallizzato grezzo che con una ulteriore raffinazione diventa bianco.
Dalla lavorazione si ottiene, come sottoprodotto, la melassa di canna che è una massa densa, viscosa, bruna e aromatica, che contiene ancora circa dal 30 al 50% di materia dolcificante e sostanze minerali che aiuteranno il futuro rum ad arricchirne il gusto. Essa viene poi setacciata, lasciata decantare, filtrata e poi diluita con una parte di acqua. Nella maggior parte delle aziende la melassa di canna viene fermentata e poi distillata per ottenere il rum detto tradizionale o industriale. In altre regioni invece viene fermentata per ricavarne l'aceto di canna.
Alcuni produttori dopo aver ottenuto il succo di canna vergine ("vesou" in francese, "guarapo" in spagnolo), non estraggono lo zucchero ma fermentano direttamente tutta la soluzione per ottenere in questo caso un rum chiamato agricolo. Il residuo fibroso e legnoso che nasce dallo scarto della lavorazione della canna è chiamato "bagasse" che dopo essere stato fatto essiccare, viene utilizzato come combustibile per riscaldare le caldaie o per creare l'energia necessaria tramite motori a vapore.
Il materiale rimanente può essere usato come alimentazione animale, riciclato nella fabbricazione della carta o venduta localmente per essere bruciata per cotture alla griglia. (Davide Staffa, 2018)

 

 

 

Laurens Henri (1885-1954). Bouteille de rhum. 1916-1917.

 

 

3. La fermentazione.


Perché la fermentazione abbia inizio è necessario che nel succo di canna o nella melassa diluita siano presenti i lieviti, microorganismi che sono i responsabili della trasformazione dello zucchero disciolto in alcol etilico, anidride carbonica e calore. Questi lieviti sono presenti in modo naturale nelle canne, detti anche indigeni, selvaggi o spontanei, ma a volte possono essere anche aggiunti dall'uomo, detti lieviti selezionati o saccharomyces cereviasie che si trovano in commercio (utilizzati anche per produrre il vino o la birra). Essi servono per effettuare una fermentazione mirata e controllata e daranno risultati certi e ben definiti. Alcuni produttori utilizzano anche lieviti presenti in alcuni tipi di frutta. I Giamaicani adottano un terzo sistema e cioè fanno partire la fermentazione usando un liquido che chiamano "dunder" che altro non è che un residuo ricco di lieviti rimasto dalle distillazioni precedenti.
Altri utilizzano la tecnica dello "skimmings" cioè l'aggiunta della schiuma che si forma dopo la bollitura del succo della canna da zucchero che risulta essere ricca di lieviti. La fermentazione avviene in vasche di solito in acciaio inox, chiuse o aperte, la mistura viene lasciata fermentare mediamente per 24-72 ore fino ad un massimo di 15 giorni, a seconda del tipo di rum che si vuole ottenere. In generale, con una fermentazione breve si ottiene un prodotto dall'aroma leggero, contenente pochi acidi e pochi residui organici pesanti. Con una fermentazione più lunga, anche senza arrivare ai 15 giorni, il prodotto ottenuto sarà un liquido contenente una più alta dose di alcol (dai 5 ai 9 gradi), acidi, e residui.
Di conseguenza sarà possibile distillare un rum molto corposo dal sapore deciso, ad elevato contenuto di esteri. Il processo di fermentazione se mal controllato può rovinare completamente la produzione, rendendo addirittura il prodotto nocivo se venisse creata un'esagerata dose di metanolo.
Per questo motivo tale processo viene gestito da esperti "maestri roneros" ed effettuato tenendo sotto controllo la temperatura e l'umidità dell'ambiente. Per questo motivo alcuni usano la tecnica di abbassare la temperatura delle vasche esternamente con acqua fredda, altri tecnologicamente più avanzati controllano questa temperatura tramite l'utilizzo di condizionatori computerizzati che agiscono su fasce che contengono liquido refrigerante e che abbracciano le cisterne esternamente. Comunque la temperatura ottimale si attesta sui 32-35 gradi per arrivare al massimo alla soglia dei 37, dopodiché il prodotto risulta essere compromesso. Il Ph corretto per mantenere una buona quantità di aromi deve essere 5.5-5.8. (Davide Staffa)

 

 

 

Juan Gris (1887-1927). La bouteille de rhum et le journal. 1913-1914.

 

 

4. La distillazione.


La distillazione è una tecnica di separazione che sfrutta la differenza dei punti di ebollizione delle diverse sostanze alcoliche presenti in una miscela. La procedura per ottenere il rum è la medesima adottata per ricavare i whisky, i cognac, le grappe o le vodke e cioè in base alle diverse temperature di ebollizione si separano chimicamente e fisicamente i vapori ricchi di alcol etilico ed eliminando in questo passaggio anche le sostanze meno nobili e sgradevoli a livello olfattivo e gustativo. Infatti esistono diversi tipi di alcol, alcuni più leggeri e dal sapore delicato e floreale, ed altri più pesanti dal sapore più deciso (cuoio, noci, ecc.). In pratica più pesante è l'alcol più il suo aroma è forte, fino a risultare spiacevole.
Gli alcol più leggeri evaporano prima degli alcol più pesanti. Esistono diverse varianti per la distillazione, dovute a diversi tipi di alambicchi che si sono studiati e sviluppati nei secoli. I principali tipi sono due: l'alambicco discontinuo e l'alambicco a ciclo continuo a colonna.
Il primo è utilizzato per produrre con singole cotture o carichi piccole quantità di rum di elevato pregio da utilizzare spesso per essere messo in barili di rovere per l'invecchiamento. Al termine della distillazione viene scaricato e gettato visto che il contenuto si è esaurito; successivamente si ricarica la caldaia con un altro carico.
Il secondo è usato un po' dappertutto e si possono ottenere grandi quantitativi di distillato in modo più semplice alimentando in modo continuativo una colonna.
Con la distillazione si separano dapprima le frazioni più volatili (acetaldeide ed altri acetati) che costituiscono la cosiddetta "testa", poi la frazione nobile (il "cuore") costituita dall'alcol etilico, ed infine si eliminano i composti più pesanti che vaporizzano a temperature più elevate dei precedenti, cioè la "coda", che contiene composti artefici di valori organolettici scarsi se non sgradevoli. (Davide Staffa, 2018)

 

 

 

Pablo Picasso (1881-1973). Nature morte à la bouteille de rhum. 1914.

 

 

5. L'arte della distillazione e gli alambicchi.


Non esiste una data certa della scoperta della dell'arte distillatoria, questa tecnica era considerata un'arte utilizzata per produrre pozioni medicinali e profumi. Alcune tracce ne fanno risalire l'origine al popolo cinese nel 3000 a.C., successivamente in uso agli Indiani nel 2500 a.C., agli Egiziani nel 2000 a.C., ai Greci nel 1000 a.C. e nel II secolo a.C. da parte di civiltà greco-romane ed orientali buddiste come da tracce e trovate durante alcuni scavi effettuati in Pakistan.
Nel 60 d.C. un medico-erborista greco Dioscoride Padanio scriveva: "distillare è imitare il sole, che evapora le acque della terra e le rinvia in pioggia". Si legge poi di un oggetto per distillare per ricavare liquidi medicinali che tutto assomiglia agli odierni distillatori discontinui. Uno dei più antichi scrittori che trattavano di alchimia era il medico greco Zosimos di Panoplis che nel 400 d.C. ad Alessandria, traducendo alcuni scritti arabi, parlava di un apparecchio distillatore che era in uso in un tempio egizio di Memphis. Era dotato di un tubo di bronzo ed un pallone per la raccolta dei vapori condensati. Chimici Persiani e Arabi nel VIII sec. d.C. producevano alcol (al-kuhul) utilizzato in origine in medicina, cosmetica ed erboristeria e perfezionarono l'alambicco (al-ambiq).
Esso venne introdotto in Europa nel periodo medioevale nel XII sec. Attraverso la traduzione dei loro trattati di chimica.
L'alambicco segue un principio di funzionamento molto semplice: si porta ad ebollizione nella caldaia il materiale che si vuole distillare, il vapore sale attraverso il collo di cigno e si condensa nel refrigerante. La forma dell'alambicco determina il risultato finale; infatti, quanto minore è la resistenza che il vapore deve superare prima di tornare alla forma liquida, tanto maggiore è la percentuale di sostanze che rimangono nel vapore. Nel caso dell'alcol quindi il prodotto finale sarà più aromatico ma avrà una percentuale alcolica più bassa.
Al contrario invece: quanto maggiore resistenza incontra il vapore, tanto prima esso perderà le sostanze più pesanti e quindi il prodotto finale sarà più puro. (Nel caso dell'alcol quindi l'acquavite avrà una percentuale alcolica più alta ma un sapore più neutro).
L'arte della distillazione sta proprio in questo, nel regolare la giusta resistenza al vapore in base al risultato che si vuole ottenere. Ci sono due tipi di alambicchi: quello discontinuo e quello continuo o a colonna.
L'alambicco discontinuo è chiamato con diversi sinonimi: a doppia distillazione, tradizionale secondo le più vecchie tecniche in uso, "charentaise" perché alcuni modelli arrivano dalla zona francese del cognac detta appunto Charente e trasportati nel 1800 nelle colonie di proprietà, stessa cosa per il "pot still" di origine Inglese usato per il whisky. E' formato da una caldaia di rame fatta tipo una cipolla nella quale vengono caricate le varie partite di prodotto da distillare e sono portare a temperatura di ebollizione tramite fuoco diretto: con il fuoco che riscalda direttamente la base della caldaia; a bagnomaria: attraverso il riscaldamento dell'acqua contenuta in un'intercapedine che circonda la caldaia o a vapore: con una corrente di vapore che passa attraverso il prodotto da distillare. Sopra alla caldaia è montato un coperchio che convoglia i vapori idroalcolici nel collettore fatto simile a un collo di cigno che si diparte dal duomo e si congiunge alla caldaia con il refrigeratore. Il refrigeratore che è un tubo a serpentina che attraversa un "pipa" o vaschetta refrigerante dove il vapore alcolico. A fianco solitamente è inserita una provetta di saggio per controllare il grado alcolico del distillato. Questo tipo di alambicco è uno strumento che si utilizzava addirittura originariamente nel XV secolo e con poche modifiche, oggi è ancora di grande attualità. Nella prima fase il liquido viene predistillato fino a raggiungere una gradazione di circa 27-30 gradi alcolici e viene chiamato "bruilli". Nella seconda fase di distillazione il "bonne chauffe" arriva ai fatidici 75 gradi. Con questo alambicco tradizionale si ottengono profumi, ed estrazioni di aromi particolari, abbastanza pungenti, ricco di alcoli ed esteri solitamente adatto all'invecchiamento ma occorre un bravo mastro distillatore che deve avere un'esperienza rodata poiché deve riuscire a separare il distillato in modo da conservare solo la parte centrale del vapore, detto "cuore", che è la parte più pura e ricca. La prima parte detta "testa" (che contiene le parti più volatili tipo acetaldeide) e la parte finale detta "coda" (che contiene parti poco nobili e sgradevoli) vengono scartate.
I rum agricoli sono ottenuti tramite quest'ultima procedura di distillazione in quanto devono rispondere in genere ad una rigorosa normativa legata alla tradizione. Per esempio una cuvèe di "vesou" (vino di succo di canna) di 30.000 litri da distillare regala a fine fermentazione circa 2.200 litri di rum a 55% vol. L'alambicco "pot still" (o charentaise) è in uso in Jamaica, Isole Vergini Britanniche, Australia, Antigua, Guyana Britannica, in genere quindi in quasi tutti gli ex territori di influenza inglese ma anche in un'isola ex-colonia francese come Haiti.
L'anno 1801 è quello che segna una svolta nella produzione del rum: nasce l'alambicco a colonna in Europa e, via via, viene installato verso il 1880 anche alle Antille con alcune modifiche, prendendo il nome di "colonna creole", andando a sostituire moltissimi alambicchi discontinui. Solo le colonie inglesi rimasero legate agli alambicchi discontinui "pot still".
L'alambicco continuo o a colonna è chiamato anche con i nomi di alcune persone che nel tempo hanno creato, cambiato o modificato questo tipo di distillatore: Savalle, Coffey, Patent o column still. Si compone di due alte colonne (una che contiene i piatti per la distillazione-rettificatrice e l'altra funge da analizzatrice) e funziona in sei fasi: la miscela idroalcolica entra nella prima colonna detta rettificatrice e scende attraverso un tubo, la miscela riscaldata dal vapore risale e passa nella seconda colonna detta analizzatrice.
Il calore profuso dal vapore che sale dal basso incontra il liquido da distillare che scende dall'alto e consente di separare l'alcol e altri elementi volatili ed i residui acquosi del processo si depositano poi sul fondo.
I vapori caldi che salgono dall'interno della colonna fanno depositare le particelle dei vari tipi di alcol su una serie di piatti (in genere sono da 15 fino a 21 circa) posti ad altezze differenti che vengono successivamente raffreddati riportandoli allo stato liquido.
I diversi tipi di alcol hanno un peso specifico differente e si depositano cosi su vari piatti posti ad altezze progressive.
La frazione rimanente (cuore) si riconverte in liquido, gli ultimi residui sono eliminati in cima alla colonna, raccolti e sottoposti a una nuova distillazione. Al termine di questa fase il contenuto cli alcol si attesta circa sui 65-75 gradi. La parte di liquido che non è evaporato viene successivamente eliminato.
Questo è il tipo di distillatore (soprattutto l'M. Desire Savalle) è il più utilizzato nelle aree caraibiche ed in particolare nelle zone dove la cultura spagnola si è meglio radicata come Cuba, S.Domingo, Guatemala, Panama, Nicaragua, Costarica, Portorico, Isole Vergini USA e Venezuela. Questo rum ha come caratteristiche la leggerezza, che si manifesta con un contenuto minore di esteri e d alcoli, necessita cli un periodo di tempo di riposo in tini di acciaio per la sua stabilizzazione, per l'armonizzazione del gusto e per avere dei sapori meno pungenti ed aggressivi.
I distillati che devono andare in commercio subito subiscono una riduzione del grado alcolico tramite la miscelazione con acqua demineralizzata, poi vengono refrigerati a circa -20 °C. in modo da far precipitare le sostanze più pesanti causa spesso di torbidità, ed infine vengono filtrati.
L'aggiunta di zucchero dà un tocco di morbidezza, mentre l'aggiunta di caramello o zucchero bruciato ne influenzano il colore tanto da far apparire invecchiati anche i distillati giovani. Alcuni distillati invece non subiscono la riduzione del grado alcolico in quanto vengono avviate ad un processo di affinamento in contenitori di legno per il successivo invecchiamento che può andare da un periodo di alcuni mesi fino a svariati anni.
Con questo tipo di distillatore si riescono a lavorare e produrre una quantità importante di distillato con un contenimento di costi significativo. L'importanza del rame nella costruzione degli alambicchi: il processo di distillazione libera una serie di sostanze etiliche aggressive che corrodono qualunque tipo di materiale "normale".
Per questa ragione il rame è il materiale migliore per la distillazione, un buon alambicco dovrebbe avere la caldaia, l'elmo, la colonna e anche il collo di cigno in rame. Il rame possiede un'ottima conduttività termica e in questo modo impedisce che la materia prima si bruci, perché il calore si distribuisce velocemente e in modo uniforme. Inoltre il rame è altamente resistente agli acidi dei fermentati di origine vegetale e da frutta, assorbe il solfuro d'idrogeno e ha proprietà catalitiche. (Davide Staffa, 2018)

 

 

 

Juan Gris (1887-1927). Bouteille de rhum et le journal. 1914.

 

 

6. L'affinamento.


La maggior parte delle botti, barili, tini e barriques è costruita utilizzando legno di rovere. Esistono varie tipologie di querce al mondo (circa 600) con caratteristiche differenti legate alla porosità del legno, al colore, e a componenti aromatici e cromatici che verranno poi ceduti al distillato che andranno a contenere. Le più utilizzate sono di origine francese (quercus sessilis e petreaea) con produzioni ad Allier, Argonne, Borgogna, Nevers, Alvernia (Tronçais) e sui Vosgi; americana (quercus alba), europee e Slavonia (quercus robur), Portogallo (quercus gariana).
Le assicelle (doghe) dopo essere state segate o spaccate, fatte stagionare per qualche anno all'aria aperta, vengono sagomate, assemblate e tenute accostate le une alle altre tramite cerchi di acciaio che fasciano esternamente la botte. Tramite il contatto con fiamme libere viene effettuata la cosiddetta tostatura interna che può avere diversi gradi di bruciatura e questo procedimento serve per modificare la composizione chimica e fisica del legno, aumentano le vanilline, si caramellizzano gli zuccheri del legno. Questa operazione serve per dare un gusto particolare al distillato in affinamento, si arricchisce di struttura e complessità con anche un apporto tannico il tutto a seguito di lente trasformazioni chimiche date dallo scambio di micro-particelle di ossigeno tra l'interno della botte e l'esterno, cedendo note e sfumature che servono ad arricchire sia il colore che l'elegante patrimonio gusto-olfattivo del prodotto finale, senza tuttavia intaccare la sua personalità originale. A questo punto un barile nuovo è pronto per essere utilizzato, ma la maggior parte dei distillatori o commercianti-affinatori le comprano usate. Solitamente vengono acquistati ad un prezzo ribassato dei barili di rovere usati dalle aziende produttrici di whisky e bourbon che li dismettono regalando loro una seconda vita. Altre botti usate sono quelle acquistate in Francia che avevano contenuto cognac o armagnac. Oggi alcuni affinatori usano anche botti che avevano contenuto porto, sherry, madera, tokaji ungherese, sauternes francesi ed anche grandi vini rossi.
Di solito vengono usati di piccolo formato, attorno ai 180-200-220 litri, perché influenzano in modo maggiore il distillato che contengono rispetto alle grandi botti più capienti. In questo modo i tannini ceduti dal legno già usato al rum sono meno aggressivi ed evidenti ed in più vengono cedute note del prodotto che vi ci ha soggiornato, regalando un'impronta più particolare. I sentori che derivano da questi affinamento possono essere quelli di frutta matura, frutta tropicale matura, frutta candita oppure spezie dolci come la vaniglia, il tabacco biondo o sentori balsamici. Tutti questi barili danno al prodotto finito colori differenti (dall'ambrato a colori più marcati tipo il noce o il mogano), sapori e gusti particolari con sfumature uniche. Spesso essendo stati usati hanno bisogno di manutenzione, quindi vengono smontati da esperti bottai, sostituite le doghe danneggiate, puliti e raschiati e viene effettuata una nuova tostatura interna. Non tutti i barili sono in rovere, a volte capita di utilizzare anche il castagno, il ciliegio, l'acacia, l'acero. Il periodo di invecchiamento solitamente dura da pochi mesi a numerosi anni in funzione del prodotto che si vuole ottenere. In questa fase avviene un'evaporazione naturale del distillato che oscilla dal 2 al 10% annuo in funzione di dove avviene l'affinamento.
Nei paesi caraibici dove ci sono alte temperature l'evaporazione è altissima e spesso arriva a picchi di perdita appunto pari al 10%. Infatti un barile di rum invecchiato in quella zona dopo 8 anni è diminuito del 50%!
Infatti molti imbottigliatori europei usano acquistare e trasferire le botti in Scozia dove grazie ad un clima più umido e fresco la perdita si abbassa drasticamente. Il clima e le temperature elevate hanno una forte influenza sull'invecchiamento: nei Carabi il processo è due-tre volte più rapido di quello dei whisky scozzesi, maturati in climi freddi. Per i produttori questa perdita volatile viene chiamata "angel's share" - parte degli angeli o "duppy's share" - parte dei fantasmi in Jamaica. Ecco perché un distillato invecchiato 5 anni in area caraibica costa circa come un "single malt" invecchiato 20 anni in Scozia. La scelta di invecchiare i distillati in barili è nata per caso quando per poter trasportare via nave questo distillato veniva messo in botti di legno. Il viaggio durava anche parecchi mesi e all'arrivo quando il rum veniva aperto per essere imbottigliato ci si accorse che aveva cambiato colore ed il gusto era migliorato.
Ci sono in commercio alcuni rum bianchi che vengono affinati in botte e che vengono filtrati con carboni per togliere tutto il colore. Nella fase di permanenza in botte il legno si impregna nella parte interna di distillato e tramite i pori riesce a fare entrare micro particelle di ossigeno che aiutano a fare maturare ed evolvere il contenuto. Tra gli aromi che il rum assorbe e che ritroveremo nel bicchiere ci sono note di vaniglia, cocco, caffè, cioccolato, sensazioni agrumate, spezie di vario genere ecc..
Prima di essere imbottigliato per essere destinato al consumo il rum viene filtrato e miscelato con una quantità variabile di acqua distillata o demineralizzata. Questa operazione serve per abbassare la gradazione alcolica che normalmente viene portata dai 38 ai 40-43 gradi. La qualità della purezza dell'acqua utilizzata può giocare un ruolo importante nella qualità del prodotto finale.
Non è però raro trovare in commercio alcuni prodotti lasciati a gradazione piena detti "full proof" o "over proof" che incontrano i gusti di una certa fascia di estimatori che amano i rum naturali, robusti e virili. Al momento della mescita nel calice di queste tipologie di distillati molto alcolici qualcuno usa aggiungere un poco di acqua liscia che serve per abbassarne il tenore alcolico e per favorire lo sprigionarsi di tutta una serie di aromi e profumi particolari, altri invece lo lasciano integro alternandolo a piccoli sorsi di acqua durante la degustazione. Per uniformare il gusto o per creare un prodotto originale si usa miscelare il rum da commercializzare con distillati di diverse annate precedenti o di altre zone di provenienza.
Non è insolito trovare comunque bottiglie che riportano in etichetta un particolare millesimo (o annata) di produzione o il numero o la sigla di un prodotto di un singolo barile di provenienza. Spesso capita che venga apportata un'aggiunta di zucchero bruciato o caramello per intensificarne il colore. Un discorso a parte bisogna fare nel caso dell'invecchiamento dei rum di stile spagnolo. In questo caso si utilizza un metodo chiamato "solera", questa tecnica è da sempre utilizzata per affinare sherry, madera e alcuni brandy di Jerez. Si tratta di una serie di barili impilati in modo piramidale con rum di diverse annate che vengono spillati parzialmente lasciando sempre una parte di rum in affinamento e ricolmando poi lo stesso barile con distillato della botte soprastante. La botte più in alto riceverà così il distillato fresco per il riempimento mentre da quella sistemata al di sotto cioè a livello del suolo (di qui il nome solera, ndr) viene spillato una parte di rum (di solito 1/ 3) che risulta essere il più invecchiato utilizzato poi per essere imbottigliato. Con questa tecnica abbiamo come risultato finale un "blends" di rums perfettamente armonici e costanti ma con annata di invecchiamento non riportabile in etichetta in quanto frutto di prodotti che si sono miscelati negli anni. Molti produttori a volte usano mettere in infusione al rum in affinamento una serie di spezie (cannella, anice, scorse di agrumi, cannella, noci moscate, vaniglia, ecc.) per caratterizzarne il gusto, questi faranno parte poi di una categoria di rum che riportano in etichetta la dicitura speziato o "spiced".
Anche nella scelta dell'utilizzo della tipologia di botti l'influenza dei differenti domini coloniali hanno dato un'impronta nello stile finale. I territori di lingua francese usano importare le botti dalla nazione madre e solitamente sono di rovere del Limousine e spesso erano state usate per invecchiare cognac che come caratteristica rilasciano sentori vanigliati dolci, delicati e floreali. I paesi di cultura anglosassone e spagnola invece usano botti usate di rovere americana che contenevano bourbon e whisky o barili usati per lo sherry che invece regalano note più speziate, con ricordi di liquerizia e con una sensazione di vaniglia più marcata. (Davide Staffa, 2018)

 

 

 

 

 

Pablo Picasso (1881-1973). Pipe, verre, bouteille de rhum. 1914.

 

 

 

 

 

Georges Braque (1882-1963). Piédestal avec une bouteille de rhum.

 

 

 

 

Le tre scuole.


1. La scuola spagnola.


I paesi di lingua spagnola utilizzano alambicchi continui a piatti utilizzati per la distillazione del brandy, mentre la materia prima è un prodotto ottenuto, nella maggioranza dei casi, dalla melassa fermentata con lieviti selezionati. Come vedremo questa melassa, detta "miel", potrà essere di diversa qualità, in considerazione della concentrazione di zuccheri residui dopo la sua lavorazione.
I paesi con il maggior successo commerciale, legato alla finezza e al percepito qualitativo dei prodotti, sono il Venezuela, seguito da Santo Domingo, Guatemala e Cuba, il cui fascino rimane inalterato negli anni, mentre il maggior numero di casse prodotte spetta a Puerto Rico dove ha sede il Gruppo Bacardi, il colosso industriale del settore. In realtà questo record è del tutto formale poiché Bacardi in realtà produce rum in Messico ed in altri stati, con canna da zucchero e melassa prodotta in loco e non solo.
Da notare che il Venezuela attualmente è l'unico paese ad essersi dotato di una "DOC", conosciuta come "Ron de Venezuela" con un disciplinare ferreo che stabilisce lavorazioni, rese per ettaro, distillazione ed invecchiamento. Un altro disciplinare ad indicazione territoriale è del "Ron de Guatemala" fortemente voluto dai due colossi Botran e Zacapa riconosciuto dall'Unione Europea nel 2013.
Il metodo produttivo dei rum spagnoli prevede quasi esclusivamente l'uso di melassa. Questa viene chiamata "miel" nella scuola spagnola e come detto può essere di diversa qualità a seconda dell'estrazione dello zucchero. Il succo ottenuto dalla spremitura leggera degli steli della canna da zucchero, defogliati, è centrifugato e lasciato riposare. Lo zucchero lentamente si andrà a cristallizzare in superficie, dove sarà raccolto con una specie di grossa schiumarola. Al termine di tale processo, eseguito per centrifugazione negli impianti moderni, rimane un succo ambrato, ancora ricco di zuccheri chiamato melassa. Qui ci si deve fermare con l'estrazione dello zucchero, se si vuole ottenere un prodotto, comunque di qualità, in caso diverso di può procedere con altre centrifughe che impoveriranno la melassa fino a renderla esausta. Il rum ottenuto con questa materia prima impoverita si chiama "aguardiente" ed ha una finezza inferiore, soprattutto perché viene anche distillato in colonna. I rum commerciali di scuola spagnola utilizzano quasi esclusivamente una miscela di distillati da melassa.
La melassa, nei rum di fascia alta è comunque di ottima di qualità, utilizzando melasse che contengono ancora percentuali di zucchero variabili dal 60 all'80%. Infatti non dobbiamo considerare il rum da melassa come un prodotto inferiore. In alcuni prodotti di pregio si usa miscelare anche rum provenienti dalla distillazione del succo di canna da zucchero vergine, che viene fermentato per ottenere il "guarapo", seguendo i dettami del "rhum agricolo" di scuola francese.
La melassa di ottima qualità contiene ancora un 80% di zucchero, sotto tale soglia il rum sarà meno ricco di profumi e di struttura. La minima quantità rimane il 60% e con questa si hanno ancora prodotti di qualità grazie a lieviti selezionati ed invecchiamenti sapienti.
Per ottenere il succo da cui poi avere lo zucchero si sfibra e si tritura completamente il fusto nella fase di spremitura e successivamente si dilava con acqua calda il residuo, per estrarre completamente tutti gli zuccheri.
Tornando al metodo classico della maggioranza dei rum spagnoli, la melassa è fatta concentrare cuocendola a fuoco basso, portandola a temperature al di sotto dell'ebollizione, ad una temperatura circa di 80 gradi per avere la certezza di eliminare tutti i batteri responsabili di infezioni e di fermentazioni indesiderate. La melassa viene concentrata fino a raggiungere il tenore zuccherino di 83 gradi Babo, con questo processo di concentrazione si stabilizza anche il prodotto e si evitano fermentazioni indesiderate durante l'eventuale trasporto, poiché si è variata la percentuale corretta necessaria fra zucchero ed acqua (il "miel" non fermenta spontaneamente proprio per questo motivo). La distilleria provvederà a diluire nuovamente la melassa fino a portarla a 22 gradi Babo e procederà alla fermentazione con lieviti selezionati, il vero prezioso segreto di ogni distilleria, in quanto capaci di dare gamme di profumi esclusivi per ogni prodotto.
La melassa pur essendo di origine vegetale presenta talvolta una curiosa caratteristica. A differenza del succo di canna vergine, questo liquido scuro e denso molte volte contiene pochissimo azoto, componente necessario alla moltiplicazione dei batteri responsabili della fermentazione. A causa di questa caratteristica la fermentazione, pur in presenza di zucchero risulta molto lenta. Per questo motivo nei paesi caraibici si era soliti aggiungere frutta, come ananas e banane al fermentato. Oltre che aggiungere grado zuccherino ed enzimi fermentativi, apportavano la quantità di azoto necessaria allo sviluppo della fermentazione, che poteva così procedere spedita per via della presenza di zuccheri facilmente fermentescibili, senza lunghe e laboriose germinazioni tipiche dei cereali.
La fermentazione, vista la presenza piuttosto alta di zuccheri sarebbe tumultuosa. La tradizione dice che la fermentazione avveniva spesso in sole 24 ore a temperature elevate, trattandosi di Caraibi, intorno ai 40 / 45 gradi con un risultato in alcol sui 8 / 9 gradi (con i cereali sono necessari 5 giorni, con l'uva anche una settimana). Per evitare questo tipo di processo, abbastanza traumatico per i precursori dei profumi, si stanno diffondendo refrigeratori per permettere una reazione più lenta e maggiormente rispettosa dei profumi che prima venivano "bruciati" dalla trasformazione dell'alcol.
La lunghezza della fermentazione è direttamente proporzionale alla complessità che vorremo dare al rum. Più è lunga, circa 5 o 6 giorni, maggiori saranno gli aromi secondari, tipici degli lieviti, che troveremo nel liquido di fermentazione. Più è corta, da uno a 3 giorni, più avremo i profumi primari della canna da zucchero. In questo caso per i rum da invecchiamento, normalmente si propende per la prima soluzione, mentre per i rum da miscelazione, bianchi, si preferisce la seconda. In realtà dopo 48 ore la maggioranza degli zuccheri si è già trasformata in alcol, ma la permanenza ulteriore degli lieviti nel liquido attiva delle reazioni chimiche che sono fondamentali per i profumi. Il fermentato da melassa, raggiunge una gradazione alcolica che varia dai 6 ai 9 gradi, a seconda degli zuccheri residui al suo interno.
A questo punto si decide che tipo di distillazione adottare. Per i prodotti commerciali da medio, basso prezzo il fermentato viene posto negli alambicchi continui a piatti per una sola distillazione, al temine della quale avremo un liquido trasparente e puro, la cui gradazione alcolica varierà dai 70 ai 90 gradi, a seconda di come è stata condotta la procedura di estrazione. L'altezza della colonna e il numero di passaggi sono determinanti per la gradazione e purezza finale.
Molte aziende adottano un sistema misto che prevede un primo passaggio in colonna per ottenere un distillato con una gradazione variabile dai 50 ai 55 gradi, per poi proseguire con un successivo in alambicco discontinuo in rame. Il distillato uscirà con una gradazione alcolica di circa 80 gradi, mantenendo comunque profumi e carattere della materia prima, grazie all'alambicco di ispirazione "charentais". Se si usa invece il doppio passaggio in discontinuo avremo un primo con una gradazione di circa 25 gradi (simile al "broullis" del cognac) ed un secondo variabile, a secondo della concentrazione, dai 60 agli 80 gradi.
Il limite massimo per la gradazione alcolica del rum in uscita degli alambicchi è di 94.5, oltre questo si deve parlare di alcol buongusto, l'etanolo che conta 96 gradi. La maggioranza delle distillerie però dichiara di utilizzare solo ed esclusivamente il taglio dai 76 gradi a scendere, in modo da avere un distillato finale mediato sui 60. Ma per le "aguardienti" sicuramente si usa anche il "leggero", o "leger" nella tradizione francese, ovvero l'alcol più puro, che esce dagli alambicchi a gradazioni superiori.
La resa in distillazione per i rum di pregio è vicina al 12%, pertanto da 1.200 litri di fermentato di succo di canna si ottengono 140 litri di alcol, mentre per i prodotti industriali la percentuale cresce, impoverendo però il risultato finale. Per le produzioni a colonna, si raggiunge una resa ben superiore, con circa 260 litri di alcol, per 1000 litri di mosto fermentato.
Per far lavorare gli alambicchi è necessario, al solito, il vapore ottenuto con gigantesche caldaie che hanno il compito di fornire il calore necessario affinché il succo fermentato raggiunga la temperatura operativa per la distillazione. Da notare che per la produzione di un solo litro di rum si utilizzano circa 20 litri di acqua, pertanto viene spiegato il perché normalmente le distillerie sono vicine a fonti d'acqua o fiumi. L'alimentazione avveniva tramite legna, carbone e i gli scarti fibrosi della canna da zucchero, al termine della spremitura. I resti della canna da zucchero, il "bagasso", venivano compattati e essiccati per ottenere una sorta di "mattoncini" da bruciare nelle caldaie, ricordando da vicino quanto accade da noi in Italia con le vinacce. Altre distillerie invece li utilizzavano come fertilizzante naturale, ricco di potassio, da "restituire" alla terra spargendolo nei campi di canna da zucchero.
La scuola spagnola utilizza spesso "blend" di prodotto, miscelando rum ottenuti da melassa che hanno maggiore struttura e rum agricoli dotati di maggiori profumi, per ottenere prodotti di medio prezzo dalle ottime caratteristiche, con invecchiamenti importanti. I rum da melassa non devono essere visti sempre come prodotti di scarso pregio, infatti la produzione spagnola ha ottimi campioni di razza, sulla cui etichetta non è presente la scritta agricolo, molto dipende, come sempre dall'abilità del distillatore, dalle temperature di estrazione dell'alcol e dal tempo impiegato per la distillazione. Spesso i rum da melassa hanno capacità di invecchiamento superiori superando agevolmente i 20 anni di elevazione in botte, periodo nel quale acquistano rotondità e complessità aromatiche. L'"aguardiente" invece viene utilizzata in "blend" o in purezza per prodotti di minor pregio, ma vista la minor struttura è inadatta all'invecchiamento.

Non si può chiamare rum, il distillato di canna da zucchero se non si procede ad un suo invecchiamento in legno. Il contatto con la botte è fondamentale per il suo disciplinare. Se non c'è elevazione in legno si deve parlare di "aguardiente". Anche il rum bianco ha un invecchiamento in legno di 6 mesi, in botti di secondo passaggio che non hanno più elementi pigmentanti. In caso di eccessiva colorazione si procede ad una filtrazione con carboni attivi. L'invecchiamento spesso avviene in barili usati, spesso da distillerie di whisky o in botti che hanno subito una tostatura a fuoco, in modo che il legno rilasci i tipici sentori di vaniglia dei ron invecchiati. La tostatura più o meno marcata influenza in maniera netta e il colore e il carattere del rum, con sentori di spezie dolci e frutta secca.
Da notare che il distillato posto ad invecchiare non viene messo a "grado pieno" nelle botti per un breve periodo, come accade talvolta per la scuola europea di cognac e whisky, ma viene diluito con acqua per riportarlo ad una gradazione di 56 massimo 57 gradi, come l'americano bourbon. Nessuna distilleria mette il proprio distillato di 70, 80 gradi ad invecchiare nelle botti, per ragioni climatiche legate all'umidità e al calore dei luoghi di produzione. Il clima caldo renderebbe troppo aggressiva l'estrazione dei tannini dal legno delle botti, se fosse mantenuto alla gradazione originale, mentre la "parte degli angeli", la tipica evaporazione dalle stesse, per via di umidità e calore delle cantine, risulta paritaria fra acqua e alcol.
L'invecchiamento non ha regole precise, non è disciplinato da norme regolamentate da disciplinari, pertanto le aziende utilizzano quasi sempre termini di fantasia per indicare il grado di elevazione del ron. I prodotti di pronta beva sono refrigerati per stabilizzare il distillato e filtrati per precipitazione, sedimentazione o con filtri di varia natura, dal cartone alla plastica. Il breve riposo in acciaio ha anche lo scopo di smorzare l'irruenza tipica del giovane distillato che sarà utilizzato principalmente per la miscelazione di cocktail.
Dopo il riposo in acciaio si procede, come detto, ad un breve invecchiamento in legno. Questi rum semplici, poco profumati e con notevole spunto etereo, portano termini di fantasia come "Carta Blanca", "Plata" e "Blanco", ad indicare la trasparenza del prodotto. Alcune volte compaiono, specie nelle produzioni di eccellenza gli anni di invecchiamento, tendenzialmente quando si superano i 7 anni di elevazione. Questi prodotti di eccellenza frutto di una materia prima eccezionale e di distillazioni curate, sono imbottigliate singolarmente od utilizzate, in piccole quantità, per contribuire al bilanciamento dei "blend".
Per gli invecchiamenti minori, frutto di "blend" di annate e prodotti, si usano termini come "Anejo", "Especial" , "Reserva" e "Gran Reserva". La maggioranza delle riserve non superano gli otto anni di invecchiamento medi, con rare eccezioni, per le caratteristiche organolettiche proprie dei distillati utilizzati. Le bottiglie di rum "reserva" ed "anejo" mediamente invecchiati sono il risultato di "blend" composti anche da 60 diversi tipi di rum, di svariate annate ed invecchiamenti. Questo tipo di procedura ricorda da vicino quella del cognac, dove la figura del "maitre de chais", cosi come il "mastro ronero", hanno una funzione fondamentale, per dare il "gout maison", l'impronta caratteristica aziendale dell'acquavite.
Un altro sistema usato è quello della "solera", ovvero il metodo delle botti sovrapposte mutuato dai vini andalusi e dal brandy spagnolo. Il sistema è ingegnoso e permette di avere un "blend" naturale delle acquaviti scolmando via via le botti sottostanti, e rimpiazzando con il liquido della nuova distillazione la fila di testa. Il risultato è un prodotto al cui interno coesistono acquaviti di diversi invecchiamenti, tenendo conto che un metodo "solera", pur dichiarando gli anni in etichetta, nella realtà al suo interno ne ha solo una percentuale. Il caso più significativo è quello di Zacapa che avendo in vendita un "solera" 23 anni scrive nel retro etichetta che la percentuale di acquavite con quella età è una percentuale minima del totale, ma comunque in grado di influenzare positivamente il risultato. Con gli anni infatti si dichiara l'età della "criadera", ovvero quando ha avuto inizio il processo di colmatura delle botti.
Il colore del distillato non sempre dipende dai legni di invecchiamento, infatti, il produttore può discrezionalmente aggiungere caramello, per un massimo del 5% nella DOC "Rum de Venezuela", maggiore in altre, sia per rendere maggiormente morbido ed amabile il prodotto, sia per dare una percezione di lungo invecchiamento. Il problema attuale è che il consumatore ha iniziato a richiedere prodotti lungamente invecchiati, iniziando a considerare questo parametro un sicuro indicatore di qualità.
La difficoltà nel reperire prodotti invecchiati veri, ha reso necessaria una costosa certificazione ufficiale da parte degli organi preposti al controllo, onde evitare frodi. Questa certificazione è proposta dalle aziende più serie che tutelano in questo modo il consumatore. Ma spesso, assaggiando questi prodotti, seppur ottimi, si rischia di rimanere parzialmente delusi, se si cerca la tipicità del prodotto.
Il lungo invecchiamento, di una materia prima così particolare, come la canna da zucchero, rischia di omologare il gusto, poiché dopo un certo numero di anni, il distillato perde i suoi profumi primari, omologandosi ad un brandy da vino. Discorso diverso se invece si ricerca la gamma di profumi tipici del legno, come le spezie dolci, il tabacco da pipa, il cuoio, la scatola di sigari che sono ben presenti in queste eleganti e preziose proposte, da bere esclusivamente come prodotti da meditazione.
Gli spagnoli, amanti della morbidezza dei loro brandy e dei loro vini, decisamente dolci e vanigliati, si pensi per un attimo al Lepanto ed al Rioja, hanno in qualche modo trasposto questa caratteristica anche ai loro rum. Tendenzialmente i ron di scuola spagnola sono maggiormente rotondi e suadenti, sia al naso che in bocca, con una presenza zuccherina, data dall'invecchiamento in botti da "PX" (botti da sherry Pedro Ximenex) o dall'aggiunta, consentita di legge, di caramello. Anche in questo caso vi sono delle eccezioni e non deve essere preso tutto in senso assoluto, ma a carattere generale. Giova ulteriormente ricordare come il Venezuela si sia dotata di una DOC ferrea a tutela della produzione di qualità, seguita nel 2013 da quella del Guatemala.


 

 

Paul Cezanne (1839-1906). Nature morte a la bouteille de rhum. 1890.

 

 

2. La scuola inglese.


Il rum di scuola inglese proviene dalla distillazione in alambicchi discontinui sullo stile scozzese, coadiuvati nelle produzioni di minor costo, dalle colonne del "Coffey still" come già accade per la produzione di "grain" whisky da taglio. Osservando gli alambicchi di Appleton, la distilleria giamaicana di rum, si ha nettamente questa idea osservando i capitelli ed i colli di cigno degli alambicchi. Infatti la Giamaica, colonia inglese, ha di fatto importato per intero la tecnologia della distillazione del whisky, apportando ed adattando gli alambicchi alla nuova materia prima. Talvolta si assiste anche all'unione di un alambicco discontinuo ad una colonna di rettifica per avere una sinergia economica.
Spesso la prima distillazione, la disalcolazione della massa fermentata, può avvenire con una colonna per accelerare il passaggio. Pertanto si ottiene quello che viene detto "low wine" o "flemma" in italiano, un liquido a circa 25, 28 gradi che andrà poi ripassato nell'alambicco discontinuo per concentrarlo alla gradazione voluta. Come nel caso degli spagnoli, anche gli inglesi preferiscono utilizzare quasi sempre la melassa, chiamata "black strap", per la produzione del distillato, sia per ragioni commerciali legate al commercio dello zucchero, sia per ragioni di costi e tenuta del distillato. Alcune distillerie producono "rum agricole" o miscelano le due produzioni, seguendo la filosofia che ha portato al successo i whisky "blended".
La melassa con una percentuale di zucchero variabile dal 60 all'80% viene prima fatta sobbollire per stabilizzarla a livello organolettico ad una temperatura di circa 80 gradi. In questo modo si concentra e si evitano fermentazioni ed attacchi batterici. Basti pensare al miele che, in virtù della sua concentrazione zuccherina non fermenta ed è, di fatto, senza scadenza. Quando si decide di utilizzare la melassa viene diluita fino ad avere un 15% di zuccheri sciolti. In questo modo si crea nuovamente un ambiente favorevole agli lieviti. L'acqua utilizzata deve essere particolarmente povera di ferro, ma ricca di minerali importanti per il carattere del rum, seguendo anche qui la filosofia dei pregiati malti scozzesi. Il ferro infatti sarebbe responsabile di ossidazioni indesiderate. I lieviti normalmente sono selezionati e mai selvaggi per avere costanza qualitativa, aspetto molto caro agli inglesi.
La fermentazione per i prodotti da bersi giovani o da miscelazioni commerciali dura solo 24 ore, massimo 48 ore, e spesso è volutamente tumultuosa, mentre per i prodotti da invecchiamento si preferisce prolungare il processo per 12 giorni a temperatura controllata, per preservare i profumi secondari, legati all'attività degli lieviti selezionati. La scuola inglese spesso usa aggiungere anche del succo di canna da zucchero fresco alla melassa per migliorare il rapporto di azoto, fondamentale per la corretta fermentazione. Alla fine della fermentazione la gradazione alcolica sarà intorno agli 8 / 9 gradi.
Oltre all'uso dei lieviti selezionati alcuni produttori di rum inglese adottano la tecnica del "sour mash", ampiamente descritta nella produzione del whiskey americano. In sostanza viene utilizzata una partita di mosto fermentato precedentemente per innescare la successiva, ma a differenza del bourbon e del tennessee, il suo uso non viene menzionato in etichetta. Nella terminologia del rum, questo liquido ricco di lievito madre, che assicura continuità delle caratteristiche organolettiche del fermentato, si chiama "dunder", inoltre si usa unire al mosto anche la schiuma ricca di zuccheri, detta "limming" prodotta della centrifugazione del succo vergine.
La distillazione in alambicchi discontinui segue le stesse fasi legate al processo del whisky, con due distinti passaggi ad ottenere prima i "low wines", una "flemma" a gradazione variabile fra i 25 ed i 28 gradi, e poi l'acquavite vera e propria, detta "new spirit". Gli alambicchi discontinui con capitelli piuttosto alti sono in grado di preservare al meglio i profumi del rum, ma in molte distillerie, come detto si lavora anche con le colonne di rettifica, la cui altezza però non è elevatissima per non snaturare troppo il prodotto. Una sorta di colonna "coffey" ma con altezze minori per non rettificare eccessivamente, fermo restando che il regolamento ammette acquaviti fino a 94 gradi, pertanto molto vicine alla vodka che ne conta 96. Al termine della distillazione segue un periodo di riposo in acciaio, per stemperare la tipica irruenza. I prodotti da pronta beva saranno sedimentati, filtrati, spesso per sola refrigerazione o con filtri poco invasivi come il cartone, ed imbottigliati.
I prodotti da invecchiamento saranno invece diluiti con acqua pura di fonte. L'abbassamento del grado, si parla di 55 massimo 62 gradi, è necessario per evitare un eccessiva aggressività del rum nei confronti del legno. Il clima caldo ed umido è uno dei più difficili dove effettuare un invecchiamento e si rischiano evaporazioni rapide, dove la parte degli angeli supera abbondantemente le percentuali europee. Le acquaviti posti in botte, la cui tostatura è a discrezione del "master blender", estrarranno nel tempo i tannini ed i profumi tipici del legno, come vaniglia, fava di cacao, scatola di sigari e tabacco, fino a che il "master distiller" non decida che è venuto il tempo dell'imbottigliamento.
In base alle qualità del distillato e alla destinazione commerciale si deciderà se effettuare un "blend" di varie acquaviti o imbottigliare la singola partita dell'anno che verrà dichiarato in etichetta. Volendo dare una classificazione di massima al profilo generale dei rum inglesi, senza per questo dare indicazioni assolute, il distillato risulta essere una sorta di "via di mezzo", fra lo stile spagnolo, decisamente tendente al morbido e la scuola francese, più mascolina. L'uso misto di melassa e, talvolta mista a piccole quantità di succo, l'expertise nella distillazione e nell'invecchiamento dei whisky, fanno il resto, a garanzia di un prodotto tendenzialmente pulito. Ovvio che vi siano delle eccezioni, dove la presenza di caramello per scurire il prodotto sia decisamente elevata, ma nella totalità il rum inglese risulta meno lavorato rispetto al prodotto spagnolo, con buoni profumi e un buon bilanciamento del legno.

 

 

 

Georges Brauqe (1882-1963). Clarinette et bouteille de rhum sur une cheminée. 1911.

 

 

3. Analogie tra la scuola spagnola e inglese.


Queste due scuole sono assimilabili per molte caratteristiche produttive e di invecchiamento, a dimostrazione del lungo connubio storico che spesso ha visto Inghilterra e Spagna protagonisti di proficui scambi commerciali in ambito enologico e liquoristico. Come dimenticare infatti che furono gli inglesi a fare la fortuna dei due vini liquorosi spagnoli per eccellenza, il Malaga ed lo Sherry.
Il disciplinare di produzione ammette che la melassa possa non essere anche del paese di origine dove ha sede la distilleria, questo spiega perché una piccola isola come Puerto Rico possa produrre 80 milioni di casse di rum l'anno. L'invecchiamento può avvenire in uno stato diverso da quello di produzione, infatti è una tendenza attuale invecchiare grosse partite di rum in Scozia all'interno delle grosse cantine centenarie di distillerie chiuse.
Il tempo di elevazione è maggiore a causa del clima rigido scozzese, infatti se per invecchiare un rum "anejo" bastano 7 anni in Scozia ne servono 12, ma il carattere del rum sembra essere decisamente più complesso, grazie ai sentori salmastri e all'umidità delle cantine. Questa pratica, oggi meno diffusa, ha trovato infatti spesso l'ostilità dei produttori tradizionali che la consideravano una pratica che stravolgeva la storicità del prodotto in nome della moda. I prodotti della scuola inglese e spagnola spesso indicano gli anni di invecchiamento in etichetta, come nel caso dei whisky scozzesi, specie per le produzioni di gran pregio, classificando il resto della produzione con nomi di fantasia. Molto diffuso il metodo di invecchiamento "solera", di scuola spagnola, ma fortemente voluto dagli inglesi per le produzioni iberiche di brandy e sherry, per dare continuità alla qualità produttiva, eliminando il fattore stagionale.
La scuola scozzese del whisky si manifesta anche nella dicitura "full proof", ad indicare che la gradazione del rum è piena, senza diluizione successiva con acqua, prima dell'imbottigliamento ed è ottenuta semplicemente con l'invecchiamento che provoca una naturale evaporazione dalla botte.
Parlando di botti, i termini "cask", o "single barrel" fanno riferimento all' imbottigliamento di una singola botte, reputata eccezionale dal "blender" e quindi degna di non subire il "blend" con altri rum della stessa cotta. Il costo sarà ovviamente superiore poiché si sacrifica la possibilità di utilizzarla per migliorare partite future con la sua mescola.

 


 

Georges Braque (1882-1963). La bouteille de rhum. 1914.
 

 

4. La scuola francese.


La differenza più evidente che salta immediatamente agli occhi è la presenza della lettera "H" all'interno della parola rum, che contraddistingue in etichetta i distillati di scuola francese e la presenza di una "AOC", ovvero un "Appellation Origine Controlle". Le principali sono Martinica e Guadalupe che contano la maggioranza delle distillerie. Ma non dimentichiamo Marie Galante la piccola isola al largo di Guadalupe, Antille e Guyana francesi, con produzioni magari meno note di assoluta qualità. Una menzione particolare merita Haiti con i suoi magnifici "clairin" rum artigianali prodotti in distillerie al limite della legalità usando alambicchi e tini di fermentazione rudimentali, ma che hanno profumi e sapori unici, che incarnano il territorio. Le differenze come vedremo in seguito non si fermano alla semplice parte alfabetica o grafica, ma sono sostanziali.
Prima di tutto, i francesi utilizzano per la distillazione del loro rhum piccoli alambicchi mutuati dallo stile "charentaise" o al massimo delle colonne basse in stile "armagnacais". Unici nel panorama produttivo del rum, i francesi premiano la qualità della materia prima. Infatti utilizzano il succo di canna fresco chiamato "jus vierge" (succo vergine) a cui non è tolto lo zucchero per affioramento e centrifuga, abituati da sempre ad avere a che fare con fermentati delicati e profumati come il vino. In realtà questa pratica è figlia della crisi dello zucchero che colpì le colonie francesi e che le costrinse, di fatto, ai margini del mercato, inflazionato da prodotti sudamericani e caraibici a minor costo. Non rimase pertanto che ritornare alla pratica della fermentazione del succo vergine vista l'impossibilità di poter vendere lo zucchero estratto, migliorando in maniera determinante il profilo aromatico. Un rum agricolo francese infatti contiene ben 225 grammi per ettolitro di sostanze aromatiche contro percentuali ben inferiori della concorrenza e di qualunque altro distillato. Si pensi che la grappa, notoriamente un prodotto intenso al naso ne contiene solamente 140. Questo ha determinato una "spaccatura" fra amatori e non amatori, che vede i consumatori ed i barman divisi sul suo consumo a causa dei suoi profumi molto personali e connotanti. Gli intensi profumi lo rendono di difficile beva o da miscelare, ma qui sta la sua bellezza. Soprattutto il bianco, non invecchiato, rappresenta la quinta essenza del prodotto rum portando al naso tutte le caratteristiche della materia prima. I rhum ottenuti con questa materia prima si definiscono "Agricole" o agricoli che porta con se caratteristiche positive per il suo legame con la terra ed il territorio. In ultimo tutelano i loro prodotti, unici a farlo, con delle "AOC" che difendono il territorio di origine riconoscendogli caratteristiche tipiche ed uniche.
I rhum si contraddistinguono specie in gioventù, come detto precedentemente, per spiccati sentori vegetali dolci, frutta a polpa bianca, floreali, tipici della canna da zucchero e senza invecchiamento risultano leggermente scontrosi. Necessitano di invecchiamento per esprimersi al meglio, almeno secondo una parte dei consumatori, ma questi non può essere lunghissimo poiché il succo vergine raggiunge presto la maturità. Normalmente un 9 anni ha raggiunto un ottimo bilanciamento fra legno e profumi primari, ma non mancano dei rari e costosi "XO" con al loro interno piccole partite di rhum con venti anni di invecchiamento. Normalmente però questi prodotti azzerano completamente la materia prima in favore dei sentori terziari, seppur suadenti ed eleganti, annullando la principale caratteristica di freschezza e franchezza degli agricoli.
Le canne da zucchero raccolte nelle aree di influenza francese si raccolgono molto spesso a mano con apripista dotati di frasche e tamburi che servono ad allontanare i serpenti e ragni annidati in attesa delle prede. I francesi molto attenti alla qualità della materia prima, con una scuola enologica d'avanguardia, seguono come detto precedentemente criteri di coltivazione attenti alla condizione pedo climatica e di territorio, per avere un succo ricco di precursori di aromi primari importanti.
Una volta raccolte, le canne da zucchero vengono pressate in maniera soffice, per non sfibrare eccessivamente lo stelo legnoso, in modo da ottenere un succo zuccherino molto denso chiamato "vesou". Raramente i resti spremuti delle canne da zucchero vengono lavati con acqua per estrarre gli ultimi zuccheri residui. Questa pratica allungherebbe, di fatto, il succo di canna vergine ed estrarrebbe delle frazioni legnose che potrebbero dare gusti troppo secchi al prodotto.
La fermentazione può essere spontanea con lieviti selvaggi, cosa rara ed altamente caratterizzante per il distillato, o con aggiunta di lieviti selezionati da ogni singola distilleria chiamati "caipiria", che fungono quasi da marchio di fabbrica per il ruolo fondamentale che hanno per la creazione di profumi secondari, legati alla fermentazione. L'uso dei lieviti selvaggi è sporadico e soprattutto usato nelle produzioni artigianali.
L'utilizzo del succo vergine pone più problemi rispetto all'utilizzo della melassa, infatti, essendo altamente zuccherino, il rischio di fermentazioni indesiderate durante il trasporto in distilleria è elevatissimo. Il succo inizia a "bollire" pochissime ore dopo il raccolto e bisogna fare molta attenzione al controllo delle temperature del mosto per evitare che l'eccessivo calore del processo, sommato a quello ambientale, "bruci" i profumi primari del prodotto. Anche qui però i tradizionalisti preferiscono fermentazioni brevi e tumultuose mentre altri lavorano con tini refrigerati mutuati dalle tecnologie enologiche. I profumi sono abbondanti e non possono essere eliminati.
I prodotti ottenuti con lieviti selvaggi e fermentazioni a tino aperto sono unici, altamente distinguibili, ma hanno il problema legato alla continuità qualitativa, che essendo dipendenti dalla stagione, alla quantità e alla qualità degli lieviti selvaggi, subisce sbalzi abbastanza significativi a livello organolettico e forse in questo risiede il suo fascino...lo stesso fascino che ci fa apprezzare il vino, mai uguale a se stesso.
Il processo con lieviti selezionati segue un cammino diverso, infatti per evitare fermentazioni spontanee e contaminazioni batteriche indesiderate, si trasforma il succo vergine molto instabile, in sciroppo di zucchero pastorizzato, riducendo l'acqua presente grazie ad una fonte di calore delicata, che mantenga gli aromi primari, per poi procedere all'inoculo dei saccaromiceti. La fermentazione di un mosto così ricco di zuccheri avviene in maniera tumultuosa in sole 72 ore e nonostante questo, i rum bianchi così ottenuti hanno comunque profumi freschi di agrumi e note erbacee, grazie all'eccellenza della materia prima.
I prodotti da invecchiamento hanno una fermentazione più lenta grazie al controllo delle temperature in cisterne d'acciaio di origine enologica, che hanno il compito di raffreddare il mosto e permettere agli lieviti di lavorare più lentamente in uno stato di "semi- ibernazione", che tuteli il risultato finale. Per entrambi le modalità di fermentazione la gradazione alcolica finale va dai 5 ai 9 gradi alcolici.
La distillazione segue le meccaniche tipiche dei due alambicchi utilizzati. Il sistema "charentaise" presuppone due distillazioni, con un primo passaggio destinato ad ottenere la "flemma" che dovrà nuovamente essere distillata per ottenere il distillato puro, il cuore del "vesou". La gradazione ottenuta è di 70 gradi circa, vicina a quella del cognac.
La distillazione "armagnacaise", distilla in maniera continua grazie all'utilizzo dei piatti di raffreddamento che assolvono in maniera egregia alla separazione di teste e code. Questi alambicchi a colonna corta contano solitamente dai 6, 7 piatti, come in Aquitania, ad un massimo di 11, 12. In queste aree l'alambicco "armagnacais" prende il nome di colonna creola. Normalmente, ma non è una regola fissa, la distillazione in colonna è dedicata ai prodotti di pronta beva o breve maturazione, mentre la doppia discontinua è per le acquaviti da invecchiamento. Prima dello stoccaggio nel legno il distillato viene diluito a circa 45/50 gradi per evitare che l'alcol, con il clima caldo ed umido aggredisca troppo violentemente le doghe con i loro tannini.
Per i prodotti bianchi dopo la distillazione seguirà un periodo di riposo in acciaio, necessario ad amalgamare il prodotto, per renderlo meno irruente e spigoloso, ed una refrigerazione necessaria per filtrare naturalmente il distillato, per precipitazione. Un successivo passaggio potrà essere fatto con filtri a cartone o con sabbie mutuate dalla tecnologia enologica. Dopo una breve maturazione, da un minimo di tre ad un massimo di sei mesi, la tipologia bianca, di pronta beva e adatta alla miscelazione sarà commercializzata.
I prodotti ritenuti adatti all'invecchiamento seguiranno un affinamento variabile all'interno dei carati classici di scuola francese, le piccole barrique da 225 litri o i tonneau da 500. Questo periodo di elevazione arricchirà il distillato di tannini, colore e dei profumi tipici della terziarizzazione con spezie, vaniglia, fave di cacao, scatola di sigari, cannella e note di frutta secca e tropicale. Quando il "maitre de chais" deciderà che il rhum ha raggiunto il suo massimo, per il prodotto da commercializzare si procederà al "blend" delle botti che verranno messe all'interno di grossi fusti per essere amalgamate. Dopo questa operazione il rhum sarà lasciato ancora a riposare, in grossi tini o riposto nuovamente in barrique, dopo di che verrà imbottigliato.
Da notare che negli agricoli non è consentita l'aggiunta di zucchero o di caramello per migliorare il colore del prodotto, così come l'uso di aromi. Tra l'altro i francesi non adoperano nessun tipo di "wood finish", ovvero botti provenienti da altre tipologie di distillato, come bourbon o vino.
A carattere generale i rhum di scuola francese hanno un profumo legato alla freschezza della materia prima che risulta ben presente, anche negli invecchiamenti più lunghi. Grazie all'uso del succo, rispetto alla melassa, il sentore linfatico e fruttato permane nel bicchiere a lungo. Hanno comunque bisogno di un certo invecchiamento perché risultano piuttosto scorbutici e scontrosi nei primi anni di vita con il ricordo fibroso del legno della canna da zucchero, che non sempre è gradito. Ma se uno è in grado di apprezzarne la schiettezza e la franchezza si troverà di fronte ad un prodotto che potrà dare grandi soddisfazioni sia liscio che con pochissimi ingredienti come qualche goccia di succo di lime, o una scorza di esso e zucchero grezzo.
Rispetto alla scuola spagnola sono meno dolci (l'aggiunta di zucchero o caramello è vietata all'imbottigliamento) ed il legno risulta ben dosato, meno tostato, e con sentori di spezie dolci meno pronunciati. La presenza di "AOC", a tutela con disciplinari, rese per ettaro della canna da zucchero e metodi produttivi, forse è una maggiore garanzia rispetto ad altri paesi dove la serietà del produttore risulta invece determinante.

 

 

 

 

 

 

 
 

 

Racconta la leggenda che Ernest Hemingway, entrato per la prima volta al Floridita per espletare i suoi bisogni, non si lasciò scappare il primo daiquiri della sua vita. Lo apprezzò ma in seguito lo volle senza zucchero e con doppio rum. Ecco nato il Papa Doble, il daiquiri alla maniera di Hemingway.
A guidare il Floridita era il catalano Constantino Ribailagua Vert, "El Grande Constante", figlio di pescatori, emigrato a Cuba per fare il cantinero, il barman. Nella carta di Ribailagua si trovavano cinque versioni del daiquiri: la nr.4 era il daiquiri "hielo frapé" con aggiunta di Maraschino e shakerato con ghiaccio tritato e non a cubetti. Ribailaigua è l'inventore anche dell'Hemingway Special (chiamato allora Floridita Special), che impone l'aggiunta di succo di pompelmo e maraschino: leggermente torbido e colorato, come "il mare là dove l'onda si stacca dalla prua di una nave e si rovescia quando la nave fila a trenta nodi".
Allora a Cuba, il daiquiri era il welcome drink. Nelle hall degli hotel, all'accoglienza, veniva servito agli ospiti al posto dello Champagne. Tanto che nella ricetta conservata dalla famiglia Bacardi, scritta a mano, le dosi minime sono per sei. Perché il daiquiri è il cocktail della convivialità e dell'amicizia.
Al suo fianco, certamente, il mojito, che più di qualunque altro racconta Cuba: il suo rum, la yerba buena, la menta profumatissima che lo caratterizza, l'idea stessa di una bevuta slow e distesa, dissetante e un poco stordente, solare e balsamica. Si racconta che un antenato del mojito venisse bevuto a Cuba già alla fine del Cinquecento. Lo chiamavano Draque, in onore di Sir Francis Drake, il corsaro inglese al servizio della regina Elisabetta I, colui che per primo riuscì a compiere la circumnavigazione del globo, e a sconfiggere l'Armada invencible. Per alcuni fu proprio lui a mescolare assieme aguardiente (l'antenato del rum) con zucchero di canna, succo di lime e foglie di yerba buena.
"My Mojito in La Bodeguita / My Daiquiri in El Floridita" è la storica frase attribuita a Ernest Hemingway, ancora lui. La Bodeguita del Medio: un leggendario locale aperto nel cuore dell'Avana vecchia dal barman Ángel Martínez. Ai tavoli di questa fonda si davano appuntamento e tiravano tardi attori e musicisti, intellettuali e rivoluzionari. Tutti bevono quel cocktail così popolare, che nella versione caraibica è decisamente diverso rispetto agli standard europei.

 

 

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Per concludere, aprendo la questione "storica" relativa alla qualità del rum e introducendo la nuova classificazione del prodotto proposta da Luca Gargano e Richard Seale, un articolo fondamentale di Thomas Pennazzi del 2016.

 

Perché il rum, il distillato tra i più bevuti al mondo, è anche quello più opaco in termini di qualità? Per un amatore o semplicemente per il consumatore occasionale è quasi impossibile sapere cosa sta per bere, a meno di spulciare il web con pazienza, o di approfondire il tema con letteratura ultra-specialistica, pressoché sempre in altre lingue. Vediamone i motivi.
I criteri di classificazione del rum tengono conto solo della provenienza geografica e della distilleria, se sono indicate, o, più spesso e ben in vista, della sola età (presunta) del distillato di un determinato marchio. Ma questi non sono criteri sufficienti per orientarsi, né per avere un'idea a priori della qualità della bottiglia oggetto della propria attenzione. Si finisce per dare retta alle sirene del marketing, alle promesse -di solito mendaci- dei marchi più diffusi, o ci si affida al caso o all'amico "competente". È troppo poco.
Ecco perché alcuni autorevoli esperti del distillato caraibico hanno pensato di mettere le mani in questo caos non casuale, che fa comodo ai grandi produttori, e di riorganizzare la classificazione del rum in termini logici e qualitativamente chiari ed univoci.
Non molte persone godono di grande prestigio nel campo del rum: forse meno di qualche dozzina al mondo. Tra queste una delle voci più profonde e seguite è quella di Luca Gargano, che oltre ad essere un dinamico commerciante è, ancor prima, uno dei massimi conoscitori di tutto ciò che si chiama rum, rhum o ron. Insieme a Richard Seale (Foursquare Distillery - Barbados), Gargano ha sviluppato un nuovo criterio di lettura dell'acquavite di canna, che si rifà in parte al sistema del whisky.
La base di partenza della scala è "come si distilla cosa": ciò che conta di più in qualsiasi distillato sono infatti materia prima ed alambicco.
Si prescinde quindi da quello che è il dove e il dopo, che formano semmai il valore aggiunto dello spirito, e che ci interessa molto relativamente ai fini della comprensione delle varie categorie di rum.
Cominciamo dalla materia prima: distillare da melassa o da succo fresco di canna è cosa diversa. La prima è tradizione dei rum/ron di stile coloniale britannico o spagnolo, la seconda quasi sempre dei rhum di tradizione francese (rhum agricole).
L'alambicco nei Caraibi è di tipi diversi:
- discontinuo a caldaia, detto anche "pot still", frequente ma non esclusivo nelle isole già inglesi, che ricorda quello del cognac, e che permette di decidere che distillato ottenere, ricco o leggero e al grado voluto
- continuo, vuoi a colonna creola con piatti (alambicco Coffey, Savalle, Barbet o derivati)
- a colonne multiple di tipo industriale, alte come torri di raffineria e in serie fino a 5.
La differenza è che i primi, a colonna singola, produrranno un rum ancora simile all'alambicco a ripasso, a non oltre 75° e con un contenuto di "congeneri" (frazione aromatica) almeno tra 200 e 300 g/hl, mentre gli alambicchi a colonna multipla forniscono distillati molto rettificati, ben oltre 86°, e quasi neutri in sapore perché scarsi in congeneri. Di fatto gli aromi di questi ultimi rum deriveranno dalle lavorazioni post-distillazione, ma poco o nulla dalla materia prima. Ne consegue che anche materie prime mediocri o cattive possono dare rum, al prezzo di un gusto vicino allo zero. Sarebbe più onesto chiamarli alcoli di canna da zucchero, e non acquaviti.
Veniamo alla classificazione di Gargano: egli suddivide i rum in sei tipi qualitativi. I primi saranno quelli che mantengono nel distillato tutti i caratteri della materia prima in modo spiccato, gli ultimi quelli che più si avvicinano ad un alcool neutro.
Pure Single Rum.

Acquavite di melassa, distillata in alambicco discontinuo da una sola distilleria. Si tratta dell'analogo dei "Single Malt Whisky". Meno di un terzo delle distillerie dei Caraibi possiede ancora alambicchi a ripasso. Questi rum sono piuttosto rari, e si contano più che altro tra Barbados e Giamaica; molte delle distillerie che fanno questi rum non li commercializzano ma li usano per tagliare i loro distillati fatti in colonna, per avere dei blended colonna/ripasso (terzo tipo) con caratteristiche di aroma migliori. Tra questi: Foursquare Distillery, Port Mourant.
Pure Single Agricole Rhum.

Acquavite di succo di canna da zucchero, distillata in alambicco discontinuo da una sola distilleria. Anche questa categoria ha rari rappresentanti. Il grosso del rhum agricolo è infatti distillato in colonna. Tra questi: Chamarel, Saint James "Coeur de Chauffe", i "Rhum Rhum" ed i Clairin di Velier.
Single Blended Rum.

Miscela (blend) di rum distillati da alambicchi a caldaia e a colonna da una sola distilleria. Il master blender cerca in questo modo di impartire uno stile riconoscibile ai prodotti aziendali, con determinate note caratteristiche della marca. Tra questi: Appleton, Diplomatico, El Dorado, Mount Gay.
Traditional rum.

Acquavite di melassa distillata con alambicchi a colonna tradizionali, tipo Coffey o derivati, di altezza modesta e a non più di due colonne. Questa distillazione permette di ottenere rum anche leggeri, ma che mantengono ancora il profilo aromatico della fermentazione della canna. Queste distillerie sono in genere di piccole dimensioni. Tra questi: Antigua Distillery, Grenada Distillers, Saint Vincent Distillery.
Rhum Agricole.

Tipici delle Antille francesi (Martinica e Guadalupa), sono acquaviti di succo di canna, distillati in continuo con colonne creole tradizionali, a elemento singolo. Questo tipo di distillati ha una ricchezza aromatica che si avvicina a quella dell'alambicco discontinuo. Non si usa fare blending. I rhum qui prodotti sottostanno ad un disciplinare AOC, essendo territori di diritto francese. Tra questi: tutti i produttori di Martinica e Guadalupa.
(Light) Rum.

Rum prodotti in colonna multipla, a grado alcolico elevato ed a scarso contenuto di congeneri. La categoria rappresenta la maggior parte dei rum prodotti nel mondo, e la quasi totalità di quello dei territori già spagnoli. Le colonne, non dissimili da quelle di una raffineria petrolifera, variano da tre a cinque, rettificano altamente il distillato, e lo privano quasi del tutto dei sapori ricavati dalla fermentazione. Si è più vicini al concetto di vodka che non a quello di rum, benché si parta da melasse e non da cereali o altri fermentabili. Tra questi: tutti i ron di stile spagnolo (Bacardi, Havana club, Pampero, Santa Teresa, Zacapa, ecc.).
In realtà poi entrano in gioco altri fattori, come l'invecchiamento in loco o in climi temperati, la provenienza della materia prima (locale o acquistata altrove), i trattamenti edulcoranti ed aromatizzanti, che rendono molto complessa e spesso sfuggente una classificazione omnicomprensiva dei rum.
Altrettanto vero è che i rum che subiscono questi trattamenti cosmetici dopo la distillazione hanno ben poco diritto a portarne il nome, diventando tecnicamente "bevande spiritose" a base di rum, e non più acquaviti di canna da zucchero. Ma la chiarezza in etichetta che il consumatore pagante ha diritto a pretendere, per ora non c'è.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice


Harewood 1780. Barbados.

Jamaica rum 1878.

Saint James 1885. Martinica.

Jamaica rum 1887.

Rhum de la Jamaique 1889.

Rare old Jamaica rum. 1894.

Madinina Rhum des Plantations. 1895.

Equiano. Mauritius & Barbados.

Barbados.

Cuba.

Grenada.

Guadalupa.

Guatemala.

Guyana.

Haiti.

Jamaica.

Marie Galante.

Martinica.

Nicaragua.

Portorico.

Santo Domingo.

St. Kitts.

Trinidad.

Venezuela.