Giugn 2012. Daniele Kihlgren

 

 

 

 

 

 

 

 

Recuperare e restaurare a regola d'arte sono elementi fondamentali per mantenere realmente viva l'opera del passato a cui ci si vuole dedicare attenzione e cura; il maestro restauratore deve a tal fine usare il più possibile, se non esclusivamente, filosofia, metodo, materiale, coi quali l'antico facitore creò e plasmò l'opera ora nelle sue mani. L'ottimale resa la ottiene se sa introiettarsi nell'opera, carpirne e capirne l'animus: l'interiorità estratta diviene determinante nella valenza estetica recuperata. L'unica eccezione consentita è l'utilizzo di tecnologia e prodotti non invasivi, esteticamente ininfluenti, finalizzati allaprotezione, alla conservazione negli anni a venire, alla fruizione. Personalmente non concordo con chi, per rendere all'opera completezza d'insieme, funzionalità originaria, aggiunge ex-novo quel che di mancante risulta nel manufatto pervenuto dai tempi.
Premetto che per opera intendo il quadro e il mobile, il libro e l'oggetto d'uso, la dimora plebea e il palazzo nobiliare, il monumento e l'intero borgo. Tutto quello che è afferente a questo mondo, mi ha sempre affascinato: entrare in una bottega di restauro, in un cantiere di recupero conservativo, è sensazione indicibile. Nel mio procedere ho lasciato spazi per restaurare antichi oggetti, mobili, libri, di semplice artigianale fattura, con passione dilettantesca, non certo con le qualità professionali e la metodica descritta per manifesta impreparazione e incapacità, ma con esito finale sufficientemente soddisfacente.
Preservare opere d'arte, cultura materiale, architetture, è segno di rispetto per chi nei tempi è stato e vissuto, è segno di voler testimoniare il comune passato al presente e a futura memoria, sintomo di profonda civiltà di un popolo e di una nazione. Purtroppo, deturpare, svilire, devastare, eliminare i segni della storia nobile e plebea, con l'alibi della modernizzazione, dell'evoluzione dello stile, della efficienza, sono da tempo prassi e consuetudine imperanti.
Solitamente l'alibi crolla e le motivazioni reali riportano poi alla verità: speculazione, cementificazione, degrado culturale, architettonico, urbanistico, ambientale. E' il trionfo dell'ignoranza, del nulla culturale, facilmente e cronicamente ascrivibile ad un paese come l'Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualche anno fa sono stato ai Sassi di Matera, per ricercare tracce di antica cultura popolare, vagare tra l'unicità di una architettura urbana erroneamente classificata "minore", che non ha eguali al mondo, e girovagando sono finito in una struttura ricettiva di un turismo di cui non sapevo l'esistenza, almeno nei termini poi scoperti.
L'addetta alla reception ha cortesemente accondisceso a mostrarmi quello che ha definito "un albergo diffuso", in breve un albergo che ha camere, ristorante, locali, ricavati da diversi singoli "sassi", recuperati sin nel minimo particolare nella tradizione originaria, compreso arredamento, oggettistica, biancheria, stoviglie, preparazione e offerta dei cibi. Unica concessione alla modernità, ma di estrema raffinatezza stilistica: vasche, lavabi, tazze e il riscaldamento.
Sono rimasto allibito di vedere il risultato di simile "filosofia" coniugante restauro e recupero integrale(reale non artefatto, non solo dei materiali ma anche della memoria delle genti, dell'identità culturale) e turismo, che potrei definire filosofia di rivoluzionaria conservazione, ancor più straordinaria poiché collocata in un contesto di abbandono, di indecente assenza delle istituzioni, di politica priva di tutele, iniziative, promozione, di un antico borgo divenuto sin dal 1993 patrimonio mondiale dell'Unesco.
Nei brevi scritti riportati troverai il "filosofo imprenditore" che ha realizzato il recupero di antichi nuclei dimenticati ridestinandoli turisticamente, i Sassi sono stati il secondo recupero, il primo è stato a Santo Stefano di Sessanio, che parla di se stesso, o di altri che parlano di lui, e, in conclusione, un filmato tratto da Report Rai3.
Talvolta sogno che questa filosofia di preservazione si impossessi, o meglio si fosse impossessata al tempo giusto, di alcuni borghi marinari sparsi per tutta la costa italiana, di Pompei e di altri siti archeologici unici al mondo, di alcuni rioni di città, di alcuni monumenti e musei, di alcune nicchie paesaggistiche... ma poi risvegliarsi in questa misera realtà italiota è alquanto tragico, triste, inconsolabile. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


"Fu una visione intrisa di sogno. Sembrava che il tempo si fosse improvvisamente fermato. Niente all'interno del borgo medievale né tanto meno nel paesaggio circostante recava traccia del passaggio del ventesimo secolo su quella terra. Nessuna palazzina in cemento armato. Nessun capannone industriale. Davanti a me si apriva la visione di un villaggio abbandonato, costruito con la pietra del posto, inserito perfettamente nel suo contesto paesaggistico". È con queste parole che il filosofo/imprenditore di origini svedesi Daniele Kihlgren rievoca il fatidico giorno in cui, per pur caso, scoprì Santo Stefano di Sessanio, un piccolo borgo abbandonato sulle pendici dell'Appennino abruzzese, a circa mezz'ora di auto da L'Aquila.
Un incontro che cambiò per sempre la sua vita. "Fu come una fulminazione sulla via di Damasco. Davanti a questa epifania, non potei fare a meno di scendere di sella e fermarmi a contemplare, in silenzio. Davanti ai miei occhi si trovava infatti una vera rarità: un gioiello architettonico di epoca medievale interamente conservato, e perfettamente inserito nel paesaggio circostante. A preservarne il fascino ancestrale, per assurdo, erano state le stesse trasformazioni socio-economiche che nel corso del XX sec. avevano portato al suo completo abbandono".
Kilghren è il terzo figlio di una ricca famiglia mista, metà italiana e metà svedese. Suo nonno fu l'uomo che portò la Ericsson in Italia e ricoprì la carica di console svedese a Genova durante la guerra. Per aver aiutato molti ebrei a fuggire le persecuzioni naziste, il suo nome oggi è ricordato nel "Giardino dei Giusti" di Gerusalemme. La nonna invece era la rampolla di una famiglia-bene del bergamasco, proprietaria di una florida industria del cemento. Come molti nipoti di nonni molto ricchi, la biografia di Kihlgren è tutt'altro che noiosa e prevedibile: abuso di stupefacenti, 25 anni di sieropositività che fino ad oggi gli ha causato solo lieve spossatezza e qualche mal di testa, prostitute a gogò, notti passate in prigione, una lunga serie di botte e cazzotti ricevuti in massima parte da fidanzate gelose.
L'attrazione fatale di Kihlgren per il dark-side della vita lo rende decisamente più simile a un personaggio di un romanzo di Bukowski che a un tipico hotelier, una natura crepuscolare che convive con sconcertante disinvoltura con la volontà di lasciarsi dietro un mondo migliore: da molti anni è attivo in Rwanda con una ONG da lui fondata che si batte per estendere anche alle fasce più povere della popolazione il diritto all'assicurazione sanitaria. E dal giorno in cui avvenne l'incontro con Santo Stefano di Sessanio, Kihlgren vive per proteggere l'integrità estetica dell'Appennino Meridionale.
L'idea di Kihlgren è molto semplice. Tesori dimenticati come Santo Stefano hanno il potenziale di essere riconvertiti in mete turistiche non convenzionali, a patto che ci si impegni a proteggere scrupolosamente l'integrità estetica del paese e del territorio circostante negli anni a venire. Un'idea non dissimile da quanto professato, e ampiamente dimostrato, dai fautori del turismo sostenibile: proteggere un luogo d'interesse turistico equivale a porre le basi per uno sviluppo economico della regione non solo sostenibile, ma anche duraturo nel tempo.
"A conferire a questo paese di montagna il suo inconfondibile fascino, non è un singolo palazzo medievale, una chiesa, o una piazza", spiega Kihlgren. "Quando si tratta di borghi medievali, il fascino verte tutto sul fragile equilibrio tra elemento umano e naturale. Un solo edificio costruito a sproposito, una sola voce fuori dal coro, e l'incantesimo è spezzato".
Fu così che Kihlgren intraprese la sua battaglia con le autorità locali, ottenendo il primo documento ufficiale nella storia del Meridione dove si afferma esplicitamente che non solo un villaggio, non solo un paesaggio, ma l'integrità della relazione tra i due costituisce di per sé un prezioso added-value da preservare e da proteggere dalle insidiose seduzioni della speculazione edilizia.
Non molti anni dopo la firma di quel documento, l'hotel Sextantio vide la luce: ventotto stanze ricavate all'interno di sei edifici medievali, arredati con mobili e artigianato rigorosamente locali, splendidi camini in pietra e viste mozzafiato sulla vallata sottostante. Soggiornarvi equivale a un viaggio nel tempo: ogni presenza dei tempi moderni, dai termosifoni all'internet wi-fi, è programmaticamente nascosta, con mille accorgimenti, all'occhio del visitatore, così da preservare l'antica austerità di quegli ambienti.
Ma l'hotel Sextantio è soprattutto un'esperienza olfattiva. Ogni stanza è pervasa dal rassicurante odore del legno antico, quello dei mobili d'epoca e delle travi a vista; le stradine che circondano il ristorante dell'albergo sono invece invase dagli aromi della cucina tradizionale abruzzese, gli stessi che un tempo segnavano l'agognato ritorno a casa di uomini e donne esausti dal lavoro nei campi, che nel cibo trovavano uno dei pochi momenti di piacere della giornata. Qui, per la gioia dei seguaci dello slow food, si servono unicamente ricette della tradizione contadina abruzzese realizzate con ingredienti ricavati sul posto, come le diciassette varietà di grano indigeno che, dopo mesi di ricerca, l'hotel Sextantio ha rimesso in produzione nei territori vicini.
Il modello di sviluppo conservativo promosso da Kihlgren si è rivelato un gran successo economico: l'hotel è visitato tutto l'anno, il numero di attività commerciali nel paese e dintorni è cresciuto esponenzialmente così come il prezzo per metro quadro delle proprietà, che nel giro di pochi anni è salito alle stelle. Basta un visionario con una visione, e nel paese fantasma è tornata a scorrere la vita. A Santo Stefano adesso vivono stabilmente 120 persone. Per il momento le promesse sono state mantenute: l'armoniosa relazione con il paesaggio non è stata compromessa. La pietra della montagna, come un tempo, continua a respirare sulle nude pareti degli edifici.
"La notizia si è sparsa", racconta soddisfatto, facendo riferimento alle decine di sindaci di piccoli comuni del Meridione che negli ultimi tempi lo hanno contattato per ripetere il "Miracolo di Santo Stefano". Il piccolo paese abruzzese, nella visione di Kihlgren, costituisce infatti solo il primo di una serie di esperimenti analoghi da ripetersi in altri borghi abbandonati o semi abbandonati dell'Appennino Meridionale. Dopo l'hotel diffuso ricavato all'interno dei Sassi di Matera, e inaugurato all'inizio di quest'anno, un altro è in costruzione nel comune di Martese sui monti della Laga, in provincia di Teramo. C'è chi fa shopping di scarpe, gioielli e vestiti firmati: Daniele Kihlgren, e in questo è davvero originale, lo fa di borghi abbandonati. Quelli acquistati, al momento, sono già dieci, in Abruzzo, Molise and Basilicata.
"Non importa se con Santo Stefano ho probabilmente speso più di quanto ho guadagnato", rivela. "L'hotel Sextantio deve servire da modello per altri borghi del Meridione. I numeri ormai parlano chiaro: una politica lungimirante incentrata sulla preservazione assoluta di un luogo d'interesse turistico, piuttosto che sul suo sfruttamento selvaggio, ripaga. La nascita di un flusso turistico colto e raffinato può servire a convincere le autorità locali ad impegnarsi per la salvaguardia dell'integrità estetica del paese e del territorio circostante negli anni a venire".
Il vocabolario che Daniele Kihlgren utilizza per parlare della sua missione, più consono a un pastore in cerca di proseliti che di un business man immobiliare, la sua maniera di gesticolare, il concitato modo di parlare, lo sguardo a tratti assente a tratti infuocato, tutto concorre a tratteggiare la figura di un "Rasputin" dell'hôtellerie. Un eroe moderno che, c'è da scommetterci, non avrà pace fino a quando non passerà sul cadavere del suo nemico, la speculazione edilizia, e vedrà realizzata la sua visione. (M. Fossi, 2010)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora stiamo parlando nell'albergo diffuso di Matera che si chiama Le Grotte della Civita, durante ore di conversazione che sembrano passare in minuti. Una sorta di sospensione del tempo fatta a forma di millenaria chiesa illuminata solo da candele, mentre da dentro intravvediamo il maestoso canyon Gensola. L'albergo di Matera, inserito nella prestigiosa guida alberghiera britannica Mr & Mrs Smith Italy è ricavato da grotte un tempo destinate a dormitori per pastori e contadini e ora trasformate in stanze di lusso estremo. Proprio perché lasciate com'erano. Non c'è tv, non c'è internet: unica concessione alla modernità è il riscaldamento che passa sotto il pavimento di tufo. E una vasca da bagno moderna.
"Si mangia a chilometro zero, si dorme in una caverna e nelle stanze ci sono vecchi mobili riciclati". Perché la vasca da bagno di design? "Sono conservativo, non conservatore: amo la contemporaneità, ho l'iPhone, non desidero che gli ospiti siano a disagio. Per evitare la feticizzazione museale, organizzo concerti, meeting, reading. Cibo e artigianato sono importanti perché fanno parte dell'identità di un popolo, ma non faccio l'apologia della ruralità. Penso che la memoria sia così affascinante che negarla sotto il cemento sia da criminali".
In sottofondo, le note de La passione secondo Matteo, di Bach: la musica che Pier Paolo Pasolini aveva voluto per girare qui Il Vangelo secondo Matteo.Kihlgren è in guerra contro chi usurpa la realtà svuotandola di significato.
"Quand'ero giovane, figlio della Milano bene, mi prendevo a botte con quelli di sinistra che sbeffeggiavano il figlio del bidello perché si metteva la cravatta e lo chiamavano "fascista". Io di politica non capisco un cazzo, e forse è meglio così. Siamo stati avvicinati dal centrosinistra, ma i bei progetti non devono avere un valore politico. I progetti sono più importanti delle persone, le ideologie sono sbagliate. Se no, il mondo si trasforma in un derby". A Matera si cerca riscatto e rinascita: ha subìto saccheggi urbanistici malgrado sia stata dichiarata dall'Unesco, nel '93, Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Sembrano distanti gli anni in cui il Parlamento bollava la città come piaga di inciviltà, "bolgia infernale", piena di "tuguri e topaie fatte case".
Lo dicevano molti anni prima del termine bipartisan, sia Palmiro Togliatti - "I Sassi sono la vergogna d'Italia" -, sia Alcide De Gasperi - "Una vergogna per tutta la nazione". E gli spaventosi edifici a schiera costruiti in città dai palazzinari, fanno giungere a una conclusione spaventosa: che la violenza -anche paesaggistica- è premeditata, la bellezza è accidentale. Così è stato distrutto gran parte di quel "patrimonio minore": un concetto da cui Kihlgren è ossessionato.
"Viene usato per rappresentare l'architettura che nasce dai bisogni elementari di sussistenza, nasce da una cultura dove non esiste distinzione tra mastro e architetto, non ha quella singolarità esaltata da Benedetto Croce che istituiva una differenza tra palazzi "artistici" e "poveri". Siamo pieni di ricchezze imperiali e questo ci ha fatto perdere di vista il paesaggio domestico. Alle scoperte di Ercolano e Pompei sono seguiti i Grand Tour come epopea di formazione intellettuale. A chi vuole che interessassero borghi sperduti come i sassi di Matera o quelli di Santo Stefano di Sessanio in Abruzzo?".
Viviamo in una nazione dove c'è l'idea che ci sia un tesoro culturale di livello e il resto no? "Si è dato per scontato che, per esempio, gli acquedotti romani potessero essere trasformati, addirittura distrutti. Palazzo Barberini è stato costruito con i mattoni sottratti al Colosseo. Ecco: bisognerebbe dare per scontato che i borghi dove le costruzioni storiche e il territorio circostante vivono in perfetta armonia hanno la stessa dignità di un castello medievale. E invece in Italia ci sono duemila borghi completamente deserti, e 15mila dove l'abbandono raggiunge il 90 per cento. Questa è una storia da scoprire, per il suo valore culturale, ma anche per le possibilità di sviluppo finanziario. A Santo Stefano di Sessanio, prima del mio intervento, c'era un solo posto dove andare a dormire: oggi sono 15. Senza avere fabbricato un palazzo in più".
La copiano? "A me piace molto essere copiato. Chi usa i miei artigiani, chiama gli architetti che hanno lavorato con me, per me è un alleato. Una volta uno è venuto qui, ha scattato foto, ha interrogato i ragazzi che lavorano per me, come una spia. Ma insomma, dico io, se non possiamo competere con la Cina per il commercio, con la Germania per le industrie pesanti, che cosa ci rimane? La storia. E la storia è di tutti. Peccato che da noi non conti". (A.Mancinelli, 2012)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Il progetto di ridestinazione turistica di S.Stefano di Sessanio e di alcuni antichi borghi collocati sulle pendici appenniniche del nostro meridione e soggetti in un passato più o meno recente allo spopolamento, si pone nei suoi presupposti metodologici e operativi con un inusuale approccio conservativo verso un patrimonio "minore" solitamente compromesso nel nostro paese. Sono ormai decenni che la ridestinazione e la ridestinazione turistica di questi borghi comporta inevitabilmente la rimozione sistematica della loro profonda identità.
In Italia e, per molteplici ragioni, specificatamente nel Sud del nostro paese, in questi borghi storici minori la ridestinazione turistica ha portato a compromettere troppe volte, in maniera irreversibile, l'originario rapporto tra il borgo ed il paesaggio circostante con la sistematica costruzione di nuove abitazioni ai margini dell'abitato anche laddove, nello spopolamento generale, non c'era alcun indice urbanistico a necessitare il nuovo costruito. Nei centri storici gli interventi di ristrutturazione, in mancanza di pianificazioni adeguate, sono stati usualmente in contrasto col patrimonio originario ed anche gli interni delle case, di pertinenza privata, hanno subito la sistematica "rimozione" degli arredi originari e delle tracce sedimentate del vissuto storico, infine le culture materiali, prendendo ad esempio le botteghe di artigianato "tipico", serialmente riproposte con la ridestinazione turistica di questi borghi, hanno inseguito immaginari di basso folclore.
Un opera di rimozione collettiva delle identità autoctone legate nell'immaginario socioculturale originario ai destini di povertà e forzate ad un giudizio di abiura senza appello. Giudizio che neppure la cultura dotta ha cercato di emendare non considerando degni di tutela patrimoni tanto lontani dalle caratteristiche della Classicità. Solo laddove la povertà ha determinato l'abbandono integrale degli abitanti, laddove l'abbandono ha conquistato incontrastato dominio di questi luoghi, si sono eccezionalmente conservate quelle caratteristiche di integrità storico-architettonica e paesaggistica di questi territori la cui tutela potrebbe essere la premessa di nuove qualificanti ridestinazioni". (D.Kihlgren)