November 2017. Igen & smartphone.

 

 

 

 

 

 

 


Per “el mestée del mes” un articolo di Jean Marie Twenge (The Atlantic, settembre 2017), docente di psicologia alla San Diego University, ricercatrice e autrice di oltre 140 pubblicazioni scientifiche e 6 libri, che esamina l’incidenza negativa dell’uso degli smartphone sugli adolescenti USA. Per comprendere le definizioni generazionali d’uso demografico e statistico riferite al mondo occidentale riportate nel testo:
“baby boomers” nati dal 1945 al 1964
“generazione X” nati dal 1965 al 1979
“millennials” o “generazione Y” nati dal 1980 al 2000
“post-millennials” o “iGen” o “generazione Z” nati dal 1995 al 2005
Come evidente vi è un periodo, 1995-2000, che è definito da alcuni come “millennials” e da altri come “post-millennials”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Più a proprio agio online che fuori a far festa, i post-Millennials si sentono più al sicuro dal punto di vista fisico, rispetto a quanto non lo siano mai stati gli adolescenti. Ma sono sul punto di una crisi di salute mentale.

 

 

 

 

 

 

 

 

Un giorno della scorsa estate, verso mezzogiorno, ho chiamato Athena(poiché minorenne non uso il suo vero nome), una 13enne che vive a Houston, Texas. Lei ha risposto al suo telefono –ha l’iPhone da quando aveva 11 anni– come se si fosse appena svegliata. Abbiamo chiacchierato a proposito delle sue canzoni e dei suoi programmi televisivi preferiti, e le ho chiesto cosa le piacesse fare con i suoi amici. “Noi andiamo al centro commerciale”, ha detto. “I tuoi genitori ti lasciano lì?”, ho chiesto, ricordando i miei giorni durante la scuola media, negli anni ’80, quando avrei voluto con i miei amici, godermi qualche ora senza genitori. “No, ci vado con la mia famiglia”, ha risposto. “Ci vado con mia madre e i miei fratelli e me ne sto un po’ distante da loro. Devo solo dire a mia madre dove andiamo. Devo farglielo sapere ogni ora o ogni 30 minuti.”
Questi viaggi al centro commerciale avvengono di rado, circa una volta al mese. Più spesso, Athena ed i suoi amici trascorrono il tempo insieme al telefono, senza alcun controllo. A differenza degli adolescenti della mia generazione, che avrebbero potuto trascorrere una serata tenendo occupato il telefono fisso familiare con pettegolezzi, loro parlano su Snapchat, l’applicazione per lo smartphone che consente agli utenti di inviare immagini e video che scompaiono rapidamente.
Essi si assicurano di conservare i loro Snapstreak, che mostrano quanti giorni di fila hanno snapchattato tra loro. A volte salvano screenshot di immagini particolarmente ridicole degli amici. “È un buon ricatto”, ha affermato Athena. Mi ha detto che aveva trascorso la maggior parte dell’estate, passando il proprio tempo da sola nella sua stanza con il suo telefono. Così è proprio come si presenta la sua generazione. Ha riferito. “Non siamo stati noi a decidere di conoscere una vita senza iPad o iPhone. Penso che amiamo i nostri telefoni più di quanto amiamo le persone reali”.
Faccio ricerca sulle differenze generazionali da 25 anni, a partire da quando 22enne ero una studente di dottorato in psicologia. Di solito, le caratteristiche che definiscono una generazione appaiono gradualmente e lungo un continuum. Le credenze e i comportamenti che erano già in fase di affermazione, continuano su questa linea. I Millennials, per esempio, sono una generazione altamente individualistica, ma l’individualismo era in aumento da quando i Baby Boomers sono apparsi sulla scena, si sono messi sulla stessa lunghezza d’onda, e hanno fatto poi un passo indietro. Mi ero abituato a disegnare grafici di tendenze che sembravano colline e valli di modesta entità. Poi ho iniziato a studiare la generazione di Athena.
Intorno al 2012, ho notato spostamenti bruschi nei comportamenti dei teenager e negli stati emotivi. I dolci pendii dei grafici si sono trasformati in montagne ripide e scogliere a strapiombo, e molte delle caratteristiche distintive della generazione dei Millennials, man mano, sono scomparse. In tutte le mie analisi di dati generazionali –alcuni risalenti agli anni Trenta– non avevo mai visto niente di simile.
All’inizio presumevo che questi potessero essere punti di forza, ma le tendenze persistevano da diversi anni, e in tutta una serie di rilevamenti nazionali. I cambiamenti non riguardavano solo l’entità, ma anche il genere. La più grande differenza tra i Millennials e i loro predecessori era come essi consideravano il mondo; i teenager di oggi si differenziano dai Millennials non solo per i loro punti di vista, ma anche per come trascorrono il loro tempo. Le esperienze che hanno ogni giorno sono radicalmente diverse da quelle della generazione che è diventata maggiorenne solo pochi anni prima di loro. Cos’è accaduto nel 2012 da causare mutamenti di comportamento così sensibili? È stato dopo la Grande Recessione, durata ufficialmente dal 2007 al 2009, la quale ha avuto un effetto più severo sui Millennials che cercavano di trovare un posto in un’economia tremolante. Ma è stato esattamente il momento in cui la quota di Americani in possesso di uno smartphone superava il 50%.
Più leggevo attentamente le indagini annuali degli atteggiamenti e comportamenti dei teenager, e più parlavo con i giovani come Athena, ho capito più chiaramente che la loro è una generazione modellata dallo smartphone e dall’affermarsi, in concomitanza, dei social media. Li chiamo iGen. Nati tra il 1995 e il 2012, i membri di questa generazione crescono con lo smartphone, hanno un account Instagram prima di iniziare la scuola superiore e non ricordano un periodo di tempo precedente a Internet. Anche i Millennials sono cresciuti con il web, ma non era onnipresente nella loro vita, a portata di mano in tutti i momenti, giorno e notte. I membri più anziani della generazione iGen erano appena adolescenti, quando nel 2007 è stato introdotto l’iPhone, e studenti delle scuole superiori quando nel 2010 è entrato in scena l’iPad. Un sondaggio del 2017, che ha coinvolto più di 5.000 ragazzi americani, ha permesso di scoprire che tre su quattro possedevano un iPhone.
In seguito all’avvento dello smartphone, e di suo cugino il tablet, è conseguita rapidamente l’apprensione per gli effetti deleteri del “tempo allo schermo”. Ma non ci si è resi conto che l’impatto di questi dispositivi va ben oltre le solite preoccupazioni riguardanti la riduzione della curva dell’attenzione. L’arrivo dello smartphone ha radicalmente cambiato ogni aspetto della vita degli adolescenti, dalla natura delle loro interazioni sociali alla loro salute mentale. Questi cambiamenti hanno colpito i giovani in ogni angolo della nazione e in ogni tipo di famiglia. Le tendenze appaiono tra gli adolescenti ricchi e poveri; di ogni etnia; nelle grandi e piccole città, nei sobborghi. Dove ci sono celle telefoniche, ci sono adolescenti che vivono la loro vita allo smartphone.
A quelli di noi che ricordano affettuosamente un’adolescenza più analogica, questo può sembrare estraneo e preoccupante. Lo scopo dello studio generazionale non è però cedere alla nostalgia di come le cose sono state; si tratta di capirle per come sono ora. Alcuni cambiamenti generazionali sono positivi, alcuni sono negativi, e molti sono entrambi. Più a proprio agio nelle loro camere che in un’automobile o a una festa, gli adolescenti di oggi si sentono più al sicuro, dal punto di vista fisico, rispetto a quanto gli adolescenti non lo siano mai stati. È da notare che per loro vi è meno probabilità di essere coinvolti in un incidente automobilistico e, avendo meno predisposizione all’alcol rispetto ai loro predecessori, sono meno suscettibili alle malattie alcol-correlate. Sono, tuttavia, più vulnerabili dal punto di vista psicologico rispetto ai Millennials: i tassi di depressione e di suicidio tra i teenager, dal 2011, sono balzati alle stelle. Non è esagerazione descrivere la generazione iGen come sul punto della peggiore crisi di salute mentale da decenni. Gran parte di questo peggioramento può essere ricondotta ai loro telefoni.
Anche quando un evento sismico –una guerra, un avanzamento tecnologico, un concerto gratuito nel fango– svolge un ruolo estremo nella formazione di un gruppo di giovani, nessun fattore singolo definisce mai una generazione. Gli stili genitoriali continuano a cambiare, così come i programmi scolastici e la cultura, e queste cose contano. Ma l’ascesa in coppia dello smartphone e dei social media ha causato un terremoto di magnitudo mai vista da lungo tempo, per non dire mai. Ci sono prove convincenti che i dispositivi che abbiamo messo nelle mani dei giovani stanno avendo gravi effetti sulla loro vita e li rendano davvero infelici.
All’inizio degli anni ’70, il fotografo Bill Yates ha scattato una serie di foto al Sweetheart Roller Skating Rink di Tampa, in Florida. In una di esse, un adolescente senza camicia sta ritto in piedi con una grande bottiglia di grappa alla menta piperita, bloccata alla cintura dei suoi jeans. In un’altra, un ragazzo, che sembra non avere più di 12 anni, posa con una sigaretta in bocca. La pista di pattinaggio era un luogo in cui i ragazzini potevano scappare dai loro genitori e vivere in un mondo proprio, un mondo in cui potevano bere, fumare e pomiciare nella parte posteriore delle loro macchine. In un austero bianco nero, i Boomers adolescenti fissano la macchina fotografica di Yates, con innata fiducia in sé stessi di creare le proprie scelte anche se, forse soprattutto se, i genitori non le ritenevano giuste.
Quindici anni dopo, durante gli anni della mia adolescenza come membro della Generazione X, il fumo aveva perso una parte del suo fascino, ma l’indipendenza era senz’altro ancora presente. Io e i miei amici pianificavamo di ottenere, non appena possibile, la patente di guida, prendendo appuntamenti al DMV (n.d.T. Department of Motor Vehicles) per il giorno in cui compivamo 16 anni e usando la nostra libertà appena scoperta per fuggire dai confini del nostro quartiere suburbano. Alla domanda dei nostri genitori, “Quando sarai a casa?”, rispondevamo: “Quando devo esserlo?” Ma il fascino dell’indipendenza, così potente per le generazioni precedenti, influenza meno gli adolescenti di oggi, che hanno meno probabilità di uscire di casa senza i loro genitori. Lo spostamento è sorprendente: i ragazzi tra i 17 e i 18 anni nel 2015 uscivano meno spesso, rispetto a quanto facevano, nel recente 2009, quelli tra i 13 e 14 anni.
È anche meno probabile che gli adolescenti di oggi si frequentino. La fase iniziale del corteggiamento, chiamata “simpatia” dai membri della Generazione X (come in “Ooh, ti piace!”), i ragazzini ora la chiamano “conversazione”, una scelta paradossale per una generazione che preferisce gli SMS alla conversazione effettiva. Dopo che due adolescenti hanno “parlato” per un po’, potrebbero cominciare a frequentarsi. Ma nel 2015 solo il 56% degli studenti all’ultimo anno delle scuole superiori è uscito per frequentarsi; per i Boomers e la Generazione X, la quota era circa l’85 per cento. Il regresso nel frequentarsi segue da vicino la diminuzione dell’attività sessuale. Il calo è più netto per i ragazzi tra i 14 e i 15 anni, tra i quali il numero di adolescenti sessualmente attivi è stato ridotto di quasi il 40%, a partire dal 1991. Il teenager medio ha fatto sesso per la prima volta nel passaggio tra i 16 e i 17 anni, un anno dopo rispetto alla media della Generazione X. Meno adolescenti che hanno fatto sesso hanno contribuito a ciò che negli ultimi anni molti considerano uno dei trend più positivi tra i giovani: il tasso di natalità tra i teenager ha raggiunto il minimo storico nel 2016, in calo del 67%, a partire dal suo apice di quest’epoca, raggiunto nel 1991.
Anche il guidare, simbolo della libertà adolescenziale iscritto nella cultura popolare americana da “Rebel without a cause” a “Ferris Bueller’s day off”, ha perso la propria attrattiva per gli adolescenti di oggi. Tra i Boomers, quasi tutti gli studenti delle scuole superiori avevano la patente di guida allo scoccare dell’ultimo anno; più di uno su quattro tra gli adolescenti contemporanei ne è ancora carente alla fine della scuola superiore. Per alcuni, mamma e papà sono autisti così bravi, che non c’è bisogno urgente di guidare. “I miei genitori mi hanno portato in macchina ovunque e non si sono mai lamentati, quindi mi hanno sempre dato degli strappi”, mi ha riferito una studentessa 21enne di San Diego. “Non ho ottenuto la patente, fino a quando mia madre me lo ha imposto, perché non poteva continuare a portarmi in macchina a scuola”. Ha finalmente ottenuto la patente sei mesi dopo aver compiuto 18 anni. Di conversazione in conversazione, gli adolescenti hanno descritto la patente come un assillo da parte dei genitori, un’idea che sarebbe stata impensabile per le generazioni precedenti.
L’indipendenza non è gratuita, servono soldi in tasca per pagare la benzina, o per quella bottiglia di grappa. In precedenza, i ragazzini lavoravano in gran numero ed erano desiderosi di finanziare la loro libertà o erano spinti dai loro genitori a imparare il valore di un dollaro. Ma gli adolescenti iGen non lavorano (né gestiscono i propri soldi) più di tanto. Alla fine degli anni ’70, il 77% degli studenti all’ultimo anno delle scuole superiori lavorava durante l’anno scolastico per ricevere una paga; entro la metà del 2010, solo il 55% lo faceva. Il numero di studenti tra i 13 e i 14anni che lavorano per la paga si è ridotto della metà. Questa diminuzione ha subito un’accelerazione durante la Grande Recessione, ma l’occupazione degli adolescenti non si è ripresa, anche se la disponibilità di lavoro lo ha fatto.
Naturalmente, scoraggiare le responsabilità dell’età adulta non è un’innovazione degli iGen. La Generazione X, negli anni ’90, è stata la prima a rinviare i segnali tradizionali dell’età adulta. Non era così probabile che i giovani membri della Generazione X guidassero, che bevessero alcool, e che si frequentassero come succedeva con i giovani Boomers, e vi era più probabilità di fare sesso e rimanere incinte da adolescenti. Ma mentre si lasciava indietro l’adolescenza, la Generazione X si è sposata e ha cominciato a far carriera più tardi, rispetto ai predecessori Boomers. La Generazione X è riuscita ad allungare l’adolescenza al di là di tutti i limiti precedenti: i membri diventavano adulti con più rapidità, finendo però con il diventarlo effettivamente più tardi. A partire dai Millennials e continuando con iGen l’adolescenza si contrae nuovamente, ma solo perché ne viene ritardato l’inizio. Mediante una serie di comportamenti –bere, frequentarsi, trascorrere del tempo senza sorveglianza– i ragazzi di 18 anni ora agiscono più come quelli di 15 e quelli di 15 assomigliano a quelli di 13 anni. Dunque l’infanzia ora si estende ben oltre la scuola superiore.
Perché gli adolescenti di oggi aspettano più a lungo ad assumersi sia le responsabilità che i piaceri dell’età adulta? I cambiamenti nell’economia e nello stile genitoriale hanno certamente un ruolo. In un’economia dell’informazione che premia l’istruzione superiore più che i trascorsi lavorativi, i genitori possono essere inclini a incoraggiare i loro figli a rimanere a casa e a studiare, piuttosto che ottenere un lavoro part-time. Gli adolescenti, a loro volta, sembrano soddisfatti di questo accordo domestico, non perché sono così studiosi, ma perché la loro vita sociale è vissuta al proprio telefono. Non hanno bisogno di andarsene da casa per trascorrere il tempo con gli amici.
Se gli adolescenti di oggi fossero una generazione di sgobboni, lo avremmo visto nei dati raccolti. Ma tra la terza media e l’ultimo anno delle scuole superiori, secondo un dato del 2010, i ragazzi trascorrono meno tempo nel fare i compiti a casa, rispetto a quanto facevano gli adolescenti della Generazione X nei primi anni ’90. (Gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori diretti al college quadriennale, trascorrono la stessa quantità di tempo nel fare i compiti a casa rispetto ai loro predecessori.) Il tempo che gli studenti dell’ultimo anno trascorrono in attività come i club degli studenti, nello sport e nell’esercizio fisico non è variato di molto negli ultimi anni. Assieme al declino del lavoro per la paga, questo significa che gli adolescenti iGen hanno più tempo libero rispetto agli adolescenti della Generazione X, non di meno. Quindi cosa ne fanno di tutto quel tempo? Sono al telefono, nella loro stanza, soli e spesso angosciati.
Uno dei paradossi della vita iGen è che, nonostante trascorrano di gran lunga molto più tempo sotto lo stesso tetto dei loro genitori, a malapena si può affermare che gli adolescenti di oggi siano più vicini alle loro madri e ai loro padri, rispetto ai loro predecessori. “Ho visto i miei amici con le loro famiglie, loro non si parlano”, mi ha detto Athena. “Dicono semplicemente ‘okay, okay, come ti pare’, mentre sono al telefono. Non prestano attenzione alla loro famiglia”. Come i suoi compagni, Athena è esperta nel deconcentrarsi dai suoi genitori, in modo da concentrarsi sul suo telefono. Ha trascorso gran parte della sua estate tenendosi in contatto con gli amici, ma quasi tutto avveniva per mezzo di SMS o Snapchat. “Sono stata al telefono più di quanto sono stata insieme con le persone reali”, ha detto. “Sul mio letto c’è l’impronta del mio corpo.”
Il numero di adolescenti che si riuniscono con i loro amici quasi ogni giorno è sceso di oltre il 40% dal 2000 al 2015; il declino di recente è stato particolarmente netto. Non è solo una questione di minor numero di ragazzini che fa festa; meno ragazzini trascorrono il tempo semplicemente andando a spasso. Questo è qualcosa che faceva la maggior parte degli adolescenti: secchioni e sportivi, ragazzini ricchi e poveri, studenti modello e mediocri. La pista di pattinaggio, il campo da pallacanestro, la piscina cittadina, i luoghi dove pomiciare, sono stati sostituiti da spazi virtuali accessibili tramite le app e il web.
Ci si potrebbe aspettare che gli adolescenti trascorrano così tanto tempo in questi nuovi spazi perché ciò li rende felici, ma la maggior parte dei dati suggerisce che non è così. Il “Monitoring the future survey”, finanziato dal “National Institute on drug abuse” e progettato per essere rappresentativo a livello nazionale, ha posto più di 1.000 quesiti, ogni anno dal 1975, e ha interpellato dal 1991 i ragazzi tra la terza media e il secondo anno di scuola superiore. Il sondaggio chiede agli adolescenti il loro grado di felicità e anche quanto tempo libero trascorrono per varie attività, tra cui quelle non davanti allo schermo, come l’interazione sociale di persona e l’esercizio fisico e, negli ultimi anni, attività allo schermo come l’utilizzo dei social media, l’invio di SMS e la navigazione nel web. I risultati non potrebbero essere più chiari: è più probabile che gli adolescenti che trascorrono più tempo rispetto alla media nelle attività allo schermo siano infelici, ed è più probabile che quelli che trascorrono più tempo rispetto alla media in attività non allo schermo siano più felici.
Non vi sono eccezioni. Tutte le attività allo schermo sono legate a una minore felicità e tutte le attività non allo schermo sono legate a una maggiore felicità. I ragazzi tra i 13 e i 14 anni che trascorrono 10 o più ore alla settimana sui social media sono il 56%, ed è più verosimile affermare che sono infelici, rispetto a coloro che dedicano meno tempo ai social media. Bisogna ammettere che 10 ore alla settimana è molto. Ma quelli che trascorrono da sei a nove ore alla settimana sui social media sono ancora il 47%, ed è più verosimile affermare che sono infelici rispetto a quelli che utilizzano i social media ancora meno. L’opposto è vero per le interazioni personali. Quelli che trascorrono di persona una quantità di tempo superiore alla media con i propri amici sono il 20%, ed è meno verosimile affermare che sono infelici, rispetto a coloro che escono con gli amici per un periodo di tempo inferiore alla media.
Se stavate per dare consigli per una felice adolescenza basata su questo sondaggio, essi sarebbero semplicemente: posare il telefono, spegnere il computer portatile e fare qualcosa, qualsiasi cosa, che non coinvolga uno schermo. Naturalmente, queste analisi non dimostrano in modo inequivocabile che il tempo allo schermo sia causa di infelicità; è possibile che gli adolescenti infelici trascorrano più tempo online. Ma la ricerca recente suggerisce che il tempo allo schermo, in particolare l’uso dei social media, rende davvero infelici. Uno studio ha chiesto, con una pagina Facebook, agli studenti del college di completare brevi sondaggi al proprio telefono nel corso di due settimane. Avrebbero ricevuto cinque volte al giorno un messaggio di testo con un link, e riferito in merito al loro stato d’animo e a quanto avessero usato Facebook. Quanto più avevano usato Facebook, tanto più si sentivano infelici, ma il sentirsi infelici non ha avuto come conseguenza un incremento nell’utilizzo di Facebook.
I siti di social network, come Facebook, promettono di collegarci agli amici. Ma il ritratto degli adolescenti iGen che emerge dai dati è una generazione solitaria e dislocata. Gli adolescenti che visitano siti di social network ogni giorno, tuttavia vedono meno frequentemente i loro amici di persona, ed è più probabile che siano d’accordo con le affermazioni “Molte volte mi sento solo”, “Mi sento spesso lasciato in disparte” e “Spesso desidero avere più buoni amici”. I sentimenti di solitudine degli adolescenti sono culminati nel 2013 e, da quel momento, sono permasi verso l’alto. Questo non significa sempre che, a livello individuale, i ragazzini che trascorrono più tempo online sono più soli, rispetto a quelli che trascorrono meno tempo online. Gli adolescenti che trascorrono più tempo sui social media, trascorrono anche più tempo con i loro amici di persona, in media gli adolescenti assai sociali sono più sociali in entrambi i luoghi d’incontro, e gli adolescenti meno sociali sono meno propensi. Ma a livello generazionale, quando gli adolescenti trascorrono più tempo allo smartphone e meno tempo nelle interazioni sociali di persona, la solitudine è più frequente.
Così sopraggiunge la depressione. Ancora una volta, l’effetto delle attività allo schermo è inconfondibile: più gli adolescenti trascorrono il tempo guardando gli schermi, più è probabile segnalare sintomi di depressione. Per i ragazzi tra i 13 e i 14 anni che fanno uso eccessivo dei social media il rischio di depressione aumenta del 27%, mentre per quelli che svolgono sport, vanno alle cerimonie religiose o addirittura fanno di più i compiti a casa, rispetto all’adolescente medio, il rischio è ridotto in modo significativo. Gli adolescenti che trascorrono tre ore al giorno o più sui dispositivi elettronici hanno il 35% di probabilità in più di avere un fattore di rischio per il suicidio, come ad esempio la sua pianificazione. (Questo è molto di più che il rischio relativo, diciamo, derivato dal guardare la TV.) Un dato che sorprende in modo indiretto fissa nel bene e nel male l’incremento dell’isolamento dei ragazzini: dal 2007 il tasso di omicidio tra gli adolescenti è diminuito, ma il tasso di suicidio è aumentato. Poiché gli adolescenti hanno iniziato a trascorrere meno tempo insieme, vi è meno probabilità che si uccidano l’un altro, e di più che si tolgano la vita. Nel 2011, per la prima volta in 24 anni, il tasso di suicidio tra i teenager è stato superiore al tasso di omicidio tra gli stessi. La depressione e il suicidio hanno molte cause; l’eccessivo uso della tecnologia non è chiaramente la sola. E il tasso di suicidio tra gli adolescenti era perfino più alto negli anni ’90, molto prima che esistessero gli smartphone. D’altronde, gli Americani ora assumono quattro volte di più gli antidepressivi, spesso efficaci nel trattamento della grave depressione più fortemente legata al suicidio.
Qual è la connessione tra gli smartphone e l’apparente sofferenza psicologica che questa generazione sta vivendo? Nonostante tutto il loro potere di mettere in collegamento i ragazzini di giorno e di notte, i social media aggravano anche la vecchia preoccupazione dei teenager di essere trascurati. Gli adolescenti di oggi possono andare meno frequentemente alle feste e trascorrere meno tempo insieme di persona, ma quando si riuniscono, documentano senza freno i loro ritrovi su Snapchat, Instagram, Facebook. Quelli non invitati a presentarsi ne sono ben consapevoli. Di conseguenza, il numero degli adolescenti che si sentono esclusi ha raggiunto livelli elevati in tutti i gruppi di età. Al pari dell’aumento della solitudine, l’incremento del sentirsi trascurati è stato rapido e rilevante.
Questa tendenza è stata particolarmente netta tra le ragazze. Nel 2015, rispetto al 2010, il 48% in più delle ragazze ha riferito che spesso si sentiva trascurata, a confronto con il 27% dei ragazzi. Le ragazze usano più spesso i social media, che danno loro ulteriori opportunità di sentirsi escluse e sole, quando vedono i loro amici o compagni di classe riunirsi senza di loro. I social media impongono un tributo, dal punto di vista psichico, sulla teenager che posta, in quanto aspetta ansiosa la conferma di “Commenti” e “Mi piace”. Quando Athena invia foto su Instagram, mi ha detto: “Sono trepidante per ciò che la gente pensa e dirà. A volte mi infastidisce quando non ho abbastanza “Mi piace” su una foto”.
Le ragazze, tra gli adolescenti di oggi, hanno anche sostenuto il peso dell’insorgenza dei sintomi depressivi. I sintomi depressivi dei ragazzi sono aumentati del 21% dal 2012 al 2015, mentre tra le ragazze sono aumentati del 50%, più del doppio. Anche l’aumento del suicidio è più pronunciato tra le ragazze. Anche se il tasso è incrementato per entrambi i sessi, le ragazze dai 12 ai 14 anni si sono uccise tre volte di più nel 2015, così come accaduto nel 2007, rispetto alle due volte in più tra i ragazzi. Il tasso di suicidio è ancora più alto per i ragazzi, in parte perché usano metodi più letali, ma le ragazze stanno cominciando a colmare il divario.
Queste conseguenze più gravi per le ragazze adolescenti potrebbero anche essere radicate nel fatto che hanno maggiori probabilità di fare esperienza di cyberbullismo. I ragazzi tendono a prevaricarsi l’un l’altro fisicamente, mentre le ragazze hanno maggiori probabilità di farlo minando lo status sociale o le relazioni della vittima. I social media forniscono alle ragazze delle scuole medie e superiori una piattaforma su cui realizzare lo stile di aggressione che preferiscono, emarginando ed escludendo in continuazione le altre ragazze. Le aziende dei social media sono ovviamente a conoscenza di questi problemi, e in certa misura si sono impegnate a prevenire il cyberbullismo. Ma le loro varie motivazioni sono, a dir poco, complesse. Un documento di Facebook, trapelato di recente, ha indicato che l’azienda aveva informato gli inserzionisti sulla sua capacità di determinare lo stato emotivo degli adolescenti in base al loro comportamento nel sito, e anche di individuare “momenti in cui i giovani hanno bisogno di un incremento di fiducia”. Facebook ha riconosciuto che il documento era reale, ma ha negato il fatto che esso offre “strumenti per orientare le persone in base allo stato emotivo”.
Nel luglio 2014, una ragazzina 13enne del Texas del Nord si è svegliata sentendo odore di bruciato. Il suo telefono si era surriscaldato e disciolto tra le lenzuola. Gli organi d’informazione nazionale, acquisita la notizia, hanno alimentato il timore dei lettori che i telefoni cellulari potrebbero prendere fuoco spontaneamente. Per me, però, il cellulare in fiamme non era l’unico aspetto sorprendente della notizia. “Perché -mi sono chiesta- qualcuno dormirebbe nel letto con il proprio telefono accanto?” Non penso si possa navigare nel web mentre si dorme. E chi potrebbe dormire profondamente a pochi centimetri da un telefono che fa brusio? Curiosa, ho chiesto ai miei studenti universitari alla San Diego State University, cosa fanno con il loro telefono mentre dormono. Le loro risposte rendevano un profilo di ossessione. Quasi tutti dormivano con il loro telefono, mettendolo sotto il cuscino, sul materasso, o almeno a portata di mano dal letto. Controllavano i social media proprio prima di andare a dormire, e ricorrevano al loro telefono non appena si svegliavano la mattina (dovevano, tutti lo usavano come sveglia). Il loro telefono era l’ultima cosa che vedevano prima di andare a dormire e la prima cosa che vedevano quando si svegliavano. Se si svegliavano a notte fonda, spesso finivano con il guardare il telefono. Alcuni usavano il linguaggio della tossicodipendenza. “So che non dovrei, ma non posso farne a meno”, ha riferito uno in merito al guardare il telefono mentre stava a letto. Altri consideravano il loro telefono come estensione del proprio corpo o addirittura come un amante: “È di conforto, mentre dormo, avere più vicino il telefono”.
Può essere anche un comfort, ma lo smartphone incide sul sonno degli adolescenti: molti ora dormono meno di sette ore, per la maggior parte delle notti. Gli esperti del sonno dicono che gli adolescenti dovrebbero avere circa nove ore di sonno per notte; un adolescente che ha meno di sette ore per notte è privato del sonno in maniera notevole. Nel 2015 più del 57% degli adolescenti è stato privato del sonno, rispetto al 1991. In soli quattro anni, dal 2012 al 2015, più del 22% degli adolescenti non è riuscito a dormire per sette ore. L’aumento giunge con tempismo sospetto, ancora una volta, a partire da quando la maggior parte degli adolescenti ha ottenuto lo smartphone. Due indagini nazionali mostrano che gli adolescenti che trascorrono tre o più ore al giorno sui dispositivi elettronici è il 28%, ed è più verosimile che dormano meno di sette ore, rispetto a coloro che trascorrono meno di tre ore, ed è più verosimile che gli adolescenti che visitano quotidianamente siti di social media siano privati del sonno per il 19%. Una meta-analisi degli studi sull’utilizzo di dispositivi elettronici tra i bambini ha riscontrato risultati simili: i bambini che usano un dispositivo multimediale, proprio prima di andare a letto, hanno maggiori probabilità di dormire meno di quanto dovrebbero, più probabilità di dormire male e più del doppio di probabilità di essere assonnati durante il giorno.
I dispositivi elettronici e i social media sembrano avere una capacità particolarmente forte di disturbare il sonno. Gli adolescenti che leggono libri e riviste più spesso, rispetto alla media, è in realtà meno presumibile che siano, anche se di poco, privati del sonno: o che la lettura li culla per addormentarsi oppure possono posare il libro quando sono a letto. Guardare la TV per diverse ore al giorno è solo debolmente legato al dormire di meno. Ma il fascino dello smartphone è spesso troppo da poter resistervi. La privazione del sonno è legata a innumerevoli questioni, tra cui la capacità compromessa di pensiero e ragionamento, la predisposizione alla malattia, l’aumento di peso e l’aumento della pressione sanguigna. Essa influenza anche l’umore: le persone che non dormono abbastanza sono inclini alla depressione e all’ansia. Di nuovo, è difficile tracciare in modo preciso le traiettorie del nesso causa-effetto. Gli smartphone potrebbero essere causa di mancanza di sonno, che porta alla depressione, o i telefoni potrebbero essere causa di depressione, che porta alla mancanza di sonno. O un altro fattore potrebbe essere causa sia dell’incremento della depressione, che della privazione del sonno. Ma lo smartphone, la sua luce blu che brilla nel buio, ha probabilmente un ruolo nefasto.
Le correlazioni tra la depressione e l’uso di smartphone sono abbastanza forti per suggerire che più genitori dovrebbero dire ai loro ragazzini di posare il loro telefono. Come riportato da Nick Bilton, giornalista che si occupa di tecnologia, alcuni dirigenti della Silicon Valley seguono tale politica. Anche Steve Jobs ha limitato ai figli l’uso dei dispositivi che ha creato.
Ciò che è in gioco non è solo come i ragazzini vivono l’adolescenza. È probabile che la presenza costante dello smartphone possa influenzarli assai in età adulta. Tra le persone che soffrono di un episodio di depressione, più avanti nella vita, almeno la metà diventa depressa. L’adolescenza è un momento chiave per lo sviluppo delle competenze sociali; poiché gli adolescenti trascorrono meno tempo interfacciandosi con i propri amici, hanno meno opportunità di metterle in pratica. Nel prossimo decennio, potremmo vedere più adulti che conoscono solo la giusta “emoji” per una situazione, ma non l’espressione del viso appropriata.
Mi rendo conto che la limitazione della tecnologia potrebbe essere una richiesta irrealistica da imporre a una generazione di ragazzini, così abituati a essere sempre connessi. Le mie tre figlie sono nate nel 2006, nel 2009 e nel 2012. Tuttavia non hanno ancora abbastanza anni per mostrare i tratti degli adolescenti iGen, ma ho già assistito in prima persona come i nuovi media si sono proprio radicati nella loro giovane vita. Ho osservato la mia bimba, la quale quando aveva a malapena gli anni per camminare, destreggiarsi con fiducia con un iPad. Ho avuto esperienza di mia figlia che a 6 anni richiedeva di avere il proprio cellulare. Ho udito per caso mia figlia che a 9 anni discuteva sull’ultima applicazione, tanto da stravincere sui suoi compagni di classe. Togliere il telefono dalle mani dei nostri bambini sarà difficile, ancor di più rispetto agli sforzi irrealisti della generazione dei miei genitori, per far sì che i loro ragazzini spegnessero MTV e uscissero un po’ all’aria fresca. Ma sembra esserci di più in gioco nello spingere gli adolescenti a usare il telefono in maniera responsabile, e ci sono vantaggi da guadagnare anche se ciò che infondiamo nei nostri figli è solo l’importanza della moderazione. Effetti significativi sulla salute mentale e sul tempo del sonno appaiono dopo due o più ore al giorno passate sui dispositivi elettronici. L’adolescente medio trascorre circa due ore e mezza al giorno sui dispositivi elettronici. Alcune tenui impostazioni di limiti potrebbero impedire ai ragazzini di cadere in abitudini nocive.
Ho notato segnali promettenti, nelle mie conversazioni con gli adolescenti, che i ragazzini stessi stanno cominciando a collegare alcuni dei loro problemi al loro telefono onnipresente. Athena mi ha detto che quando trascorre il tempo con i suoi amici di persona, loro guardano spesso il loro dispositivo, invece che lei. “Cerco di parlare con loro di qualcosa, e non mi guardano in faccia”, ha detto. “Guardano il telefono o il loro Apple Watch.” “Come ti senti, quando cerchi di parlare con qualcuno faccia a faccia e non ti guardano?”, ho chiesto. “Ci rimango male”, ha affermato. “Fa male. So che la generazione dei miei genitori non lo ha fatto. Potrei parlare di qualcosa che per me è straimportante, e loro nemmeno ascoltano”. Una volta, mi ha raccontato, stava passeggiando con un’amica che inviava SMS al suo ragazzo. “Stavo cercando di parlare con lei della mia famiglia, e di ciò che stava succedendo, e lei diceva, “Uh-huh, yeah, come ti pare”. Così le ho preso il telefono dalle mani e l’ho buttato contro il muro.” Non potevo fare a meno di ridere. “Giochi a pallavolo”, ho detto. “Hai un bel braccio?” “Già”, ha risposto.