Mag 2017. "Stiamo morendo, per favore".

 

 

 

 

Un “mestée del mes” che riporta una inchiesta di Fabrizio Gatti su un fatto atroce ed immondo accaduto nell’ottobre del 2013 dove emergono inequivocabilmente le responsabilità della Guardia costiera e della Marina Militare italiana. Allucinanti le risposte telefoniche riportate integralmente alle richieste continue di intervento. L’inchiesta è stata pubblicata il 9 maggio 2017 sul settimanale L’Espresso. A completamento un articolo, sempre di Fabrizio Gatti, sulla presentazione del film “Un unico destino. Tre padri e il naufragio che ha cambiato la nostra storia” sul massacro di cui è formalmente accusata la Marina Militare italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nave Libra, il pattugliatore della Marina italiana, è ad appena un'ora e mezzo di navigazione da un barcone carico di famiglie siriane che sta affondando. Ma per cinque ore viene lasciata in attesa senza ordini. Il pomeriggio dell'11 ottobre 2013 i comandi militari italiani sono preoccupati di dover poi trasferire i profughi sulla costa più vicina. Così non mettono a disposizione la loro unità, nonostante le numerose telefonate di soccorso e la formale e ripetuta richiesta delle Forze armate maltesi di poter dare istruzioni alla nave italiana perché intervenga.
Il peschereccio, partito dalla Libia con almeno 480 persone, sta imbarcando acqua: era stato colpito dalle raffiche di mitra di miliziani che su una motovedetta volevano rapinare o sequestrare i passeggeri, quasi tutti medici siriani. Quel pomeriggio la Libra è tra le 19 e le 10 miglia dal barcone. Lampedusa è a 61 miglia. Ma la sala operativa di Roma della Guardia costiera ordina ai profughi di rivolgersi a Malta che è molto più lontana, a 118 miglia.
Dopo cinque ore di attesa e di inutili solleciti da parte delle autorità maltesi ai colleghi italiani, il barcone si rovescia. Muoiono 268 persone, tra cui 60 bambini. In questo videoracconto "Il naufragio dei bambini", L'Espresso ricostruisce la strage: con immagini inedite, le telefonate mai ascoltate prima tra le Forze armate di Malta e la Guardia costiera italiana, e le strazianti richieste di soccorso partite dal peschereccio.
In quattro anni, dopo le denunce dei sopravvissuti, nessuna Procura italiana ha portato a termine le indagini (Fabrizio Gatti, 2017)

 

 

 

 

L’inchiesta.

 


Così muoiono i profughi. Così annega un immigrato. Immaginate il Mediterraneo senza più navi di soccorso. Pensate a un governo che riporti il calendario indietro di quattro anni: prima dell’operazione Mare nostrum durata dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014 e poi sostituita dall’intervento delle Ong, le organizzazioni non governative che dal 2016 con tredici imbarcazioni raccolgono l’umanità dei gommoni spediti dalla Libia. Il mare senza più salvagente. Cadaveri sulle spiagge e nelle reti dei pescatori. Scene che abbiamo già visto.
Le conversazioni che pubblichiamo sono le telefonate di un naufragio mai ascoltate prima. L’11 ottobre 2013, una data simbolo di come eravamo. Italia e Malta si rimbalzano la responsabilità su chi deve muoversi: almeno 268 siriani affogano in diretta, una sessantina i bambini, 212 superstiti, cinque ore di inutile attesa alla deriva, il pattugliatore “Libra” della Marina lasciato lì a galleggiare senza ordini, vari esposti presentati dai sopravvissuti contro i comandi militari italiano e maltese. E in quattro anni nessuna Procura ha portato a termine le indagini.
Il mare senza navi di soccorso è uno scenario realistico se consideriamo l’agenda annunciata dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, che da fine aprile stanno raccogliendo i frutti delle dichiarazioni del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro: l’accusa, senza nessuna prova e nessun indagato come ha precisato il magistrato, secondo cui alcune Ong sono finanziate dai trafficanti libici e hanno lo scopo di «destabilizzare l’economia italiana». Però soltanto il calendario tornerebbe indietro di quattro anni. Il disastro geopolitico che ci circonda rimarrebbe lì dove è arrivato oggi.
Un lungo elenco di nazioni, Libia, Siria, Kurdistan, Palestina, Iraq, Gambia, Mali, Nord del Niger, Sud dell’Algeria, Nord della Nigeria, Ciad, Egitto, Sudan, Eritrea, Somalia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Yemen, Pakistan e Afghanistan, infiammate dai conflitti o represse dai regimi. E l’Italia leader mondiale con Stati Uniti e Francia nella vendita di armi all’estero, come conferma la recente relazione del governo al Parlamento. Un valore delle autorizzazioni cresciuto in due anni da 3 a 14,6 miliardi. E un aumento del 59 per cento di esportazioni nel 2016 proprio verso Nord Africa, Medio Oriente. E Arabia Saudita: dittatura che alimenta le reti terroristiche islamiste a Nord e a Sud del Sahara e con le bombe italiane ha attaccato lo Yemen.
Quelli che noi chiamiamo profughi o immigrati economici o clandestini vengono da lì: scappano dai clienti delle industrie belliche e dalle conseguenze delle guerre su economie già fragili. Erano 42.925 nel 2013, sono saliti a 181.436 nel 2016. Comunque una goccia rispetto alle centinaia di milioni di persone coinvolte e perfino ai 503 milioni di abitanti dell’Unione Europea. Ma siamo convinti che, semplicemente aspettando i barconi davanti alle nostre coste, come vorrebbe l’agenzia europea di polizia Frontex, ridurremo gli sbarchi? Ed è legale lasciar lievitare il conseguente numero di annegati, sperando che le stragi scoraggino le partenze?

 

 

 

 

Ore 12,26 a.m. dell’11 ottobre.

 


Una prima risposta curiosa la può dare la nostra esperienza di automobilisti: 25.500 cittadini europei sono morti nel 2016 in incidenti stradali e 135 mila sono rimasti feriti, ma questo non ci impedisce di salire in macchina se abbiamo bisogno di muoverci. L’anno scorso, secondo il rapporto 2017 di Frontex, 4.579 profughi sono annegati in mare davanti alla Libia. Un dato spaventoso per noi, ma perfino rassicurante per quanti sanno che rimanendo fermi nel luogo dove sono nati farebbero la stessa fine. Si tratta, infatti, “appena” del 2,4 per cento delle persone partite dalle coste libiche: tra il 2003 e il 2005 le vittime raggiungevano il dodici per cento sul totale dei circa quindicimila immigrati sbarcati annualmente in Italia, secondo la statistica tenuta allora dalla gendarmeria tunisina.
Di sicuro il mare senza salvagente ci riporterebbe all’autunno 2013. Proprio a quella strage, venerdì 11 ottobre di quattro anni fa. Otto giorni dopo i 366 morti davanti alle finestre di Lampedusa. Undici giorni dopo i tredici eritrei annegati tra i turisti in spiaggia a Scicli in Sicilia. Una settimana prima dell’avvio di Mare nostrum, l’operazione unilaterale dell’Italia che ha messo temporaneamente fine alla carneficina, o almeno l’ha allontanata dai nostri occhi.
Quella mattina un peschereccio con quasi cinquecento profughi siriani è a 113 chilometri a Sud di Lampedusa e a 218 da Malta. Molti sono medici di Aleppo in fuga dalla guerra con mogli e bambini. Sono partiti la sera prima da Zuwara in Libia. Ma appena salpati miliziani berberi su una motovedetta, probabilmente una di quelle donate dagli Stati europei per controllare l’emigrazione, hanno inseguito il peschereccio per rapinare o sequestrare i passeggeri. Non riuscendoci hanno sparato raffiche di mitra sui profughi.
Ventisei minuti dopo mezzogiorno dell’11 ottobre arriva la prima richiesta di soccorso al telefono di Mrcc Roma, la centrale operativa della nostra Guardia costiera, allora guidata dall’ammiraglio Felicio Angrisano. Parla Ayman, lo scafista. Gli altri protagonisti delle comunicazioni sono la sala comando della Marina maltese (Rcc Malta) e il comando della Squadra navale della Marina italiana (Cincnav). Il Mediterraneo quel giorno è quasi calmo.
Mrcc Roma: «Centrale operativa».
Scafista, in italiano: «Pronto?».
Mrcc Roma: «Sì, pronto».
Scafista: «Pronto?».
Mrcc Roma: «Pronto!».
Scafista: «Io arrivo da Libia a Lampedusa».
Mrcc Roma: «One moment please, un attimo».
Scafista: «Dui, dui, dui persone problem».
Mrcc Roma: «Un attimo, per favore».
Scafista: «Eh».
Mrcc Roma: «Un attimo».
Scafista: «Che dici?». La telefonata, partita dal telefono satellitare Thuraya a bordo del peschereccio, viene passata a un numero interno.
Scafista: «Direzione Lampedusa».
Mrcc Roma, scandisce in italiano: «Dove sei, dove sei?».
Scafista: «Eh, 50 miglia a Lampione, 50 miglia-kilometr a Lampione». Discussione a bordo. Poi Ayman detta le coordinate della latitudine: «Trentaquattro. Diecinove. Sei sei». Ma prima che riesca a comunicare la longitudine cade la linea. Ayman richiama alle 12.39. Risponde il centralino.
Scafista: «La nave in problema, la nave in problema».
La chiamata viene trasferita all’interno.
Mrcc Roma: «In English, in French or in Italian language».
Ayman mescola male italiano e francese. Poi passa il satellitare al dottor Mohanad Jammo, 40 anni, direttore dell’unità di terapia intensiva dell’ospedale di Aleppo. La moglie e i tre figli sono con lui: i due più piccoli rimarranno per sempre in fondo al mare. Jammo parla inglese. Comunica informazioni chiare. Le sue parole si sentono perfettamente: «Siamo trecento persone a bordo (non può vedere i profughi nella stiva), siamo un gruppo di siriani, ci sono due bambini feriti, siamo stati esposti a un attacco la notte scorsa, la barca sta andando giù, per favore, abbiamo più di cento bambini, cento donne e probabilmente cento uomini, per favore fate in fretta, stiamo per morire, ci rimane meno di un’ora, l’acqua sta venendo dentro, sono un medico, per favore, non c’è molto credito nel telefono, non ci stiamo muovendo, sono le onde a spostarci, siamo mossi dalle onde, ti giuro siamo in una vera, vera emergenza, please hurry up, please».
Mrcc Roma: «Sì, qual è il problema a bordo?».
Risposta: «La barca sta andando giù, ti giuro, c’è circa mezzo metro d’acqua nella parte bassa. Il mio nome è Mohanad Jammo, sono un medico».
Mrcc Roma: «Signore, dammi la tua posizione un’altra volta».
Jammo: «34°20’18” Nord, 12°42’05”Est».
Mrcc Roma verifica che l’area della chiamata di emergenza è sotto la responsabilità “Sar-ricerca e soccorso” della Valletta e alle 13 telefona a Rcc Malta. L’operatrice italiana trasmette tutti i dati comunicati dal dottor Jammo, compresa la presenza dei due bambini feriti e i problemi con il motore. Non viene invece detto ai maltesi che lo scafo sta imbarcando acqua e che il livello a bordo ha già raggiunto il mezzo metro.
Replica Rcc Malta: «Puoi mandarmi il fax, per aprire il caso».
Alle 13.05 Mrcc Roma sollecita Malta perché, come richiesto nel fax, assumano il coordinamento del soccorso.
Rcc Malta: «Ti risponderemo, nessun problema».

 

 

 

 

Aiutateci, stiamo morendo.

 


Alle 13.15 Mrcc Roma comunica al Cincnav della Marina militare le stesse informazioni passate a Malta, senza però riferire del problema con il motore e dello scafo che imbarca acqua.
Mrcc Roma: «Altre informazioni, nulla. Abbiamo visto dall’ultima posizione che ci ha passato la Libra, che più o meno è in zona. Abbiamo già informato Malta, gli abbiamo chiesto di assumere il coordinamento».
Cincnav: «E Malta cosa ha risposto?».
Mrcc Roma: «Stanno attendendo anche il nostro messaggio, sì non ci sono problemi, attendiamo».
Cincnav: «Va bene, passiamo le informazioni alle unità che abbiamo giù e poi vi facciamo sapere».
Alle 13.17 il dottor Jammo richiama Mrcc Roma. L’operatore è cambiato, ora è un uomo.
Jammo: «Avete mandato qualcuno per noi? Noi siamo i siriani, circa trecento...».
Mrcc Roma gli parla sopra: «Signore, ti ho dato il numero dell’autorità di Malta, perché voi siete vicino Malta, siete-vi-ci-no Malta. Mi capisci?».
Jammo: «Siamo vicini a Malta? Non abbiamo avuto il numero di Malta».
Mrcc Roma: «Posso darvi il numero, naturalmente».
Jammo: «Per favore, aiutaci».
Mrcc Roma scandisce il numero del soccorso di Malta: «Vai, vai, chiama Malta direttamente, molto in fretta. E loro sono lì, sono vicini. Ok?».
Alle 13.48 il dottor Jammo richiama Mrcc Roma: «Ho telefonato a Malta, loro ci dicono che siamo molto più vicini a Lampedusa che a Malta. Ho dato loro la posizione. Voi siete più vicini per noi. Stiamo morendo, per favore. Stiamo morendo», grida Jammo, «stiamo morendo».
Mrcc Roma, l’operatrice iniziale: «Hai chiamato Malta, hai chiamato?».
Jammo: «Ti do la nuova posizione».
Mrcc Roma ricopia la posizione.
Jammo, si scusa, gli trema la voce: «Stiamo morendo. Non abbandonateci, il credito è finito, mi capisci? Il credito nel telefono è finito. Se tagliano la linea, hai il mio numero ora, chiamami tu, per favore».
Mrcc Roma, una voce maschile dietro l’operatrice suggerisce cosa dire: «Yes, yes, yes, chiama Malta, signore, stai parlando con Italia, Italia, ma...».
Jammo: «Sì, Italia. Lampedusa, Lampedusa è in Italia!».
Mrcc Roma: «Sì, tu devi chiamare Malta, signore, devi chiamare Malta».
Jammo: «Lampedusa». La registrazione si interrompe sulla voce dell’operatrice. La telefonata probabilmente continua. Rcc Malta: «No, non ci sono aggiornamenti finora». Rcc Malta: «Sì, l’ho ricevuto ma non so se è completo».
Mrcc Roma: «Abbiamo inviato un Inmarsat Charlie», una richiesta di soccorso a tutte le navi in transito. Parlando con il collega, però, l’operatrice italiana scopre che i maltesi hanno perso la parte finale del fax. Proprio quella in cui Roma chiedeva a Rcc Malta di assumere il coordinamento dell’operazione.
Nave Libra non interviene.
Alle 15.12 Cincnav chiede aggiornamenti alla Guardia costiera: «Non abbiamo null’altro», dichiara Mrcc Roma.
Cincnav: «Malta non ha risposto?».
Mrcc Roma: «Malta ha risposto “assumo il coordinamento”. Noi gli abbiamo passato due mercantili, che stavano transitando in zona e gli abbiamo detto che c’è una unità della Marina (la Libra) in zona. Non gli abbiamo dato posizione e niente. Quello o che cosa stanno facendo loro, mi hanno detto che non hanno novità da darmi».
Ma è legale non fornire la posizione della nave più vicina durante un’operazione di soccorso?
Cincnav conclude: «Allora rimaniamo in attesa».
Alle 15.25 Mrcc Roma fornisce a Malta la posizione del peschereccio registrata alle 15.03 dalla sede Thuraya a Dubai: conferma che le coordinate date da Jammo sono precise. Alle 15.30 Mrcc Roma riferisce al Cincnav della Marina militare italiana che il coordinamento dei soccorsi è sempre in carico a Malta.
Mrcc Roma: «Ci hanno anche dichiarato di inviare sul punto una loro motovedetta».
Cincnav: «Quindi i maltesi hanno fatto uscire una loro motovedetta. Sai qual è?».
Mrcc Roma: «No, non ci hanno specificato».
Cincnav: «Va bene... perché magari sulla congiungente c’è nave Libra. Ti ringrazio, buona guardia».
Alle 15.37 il dottor Jammo richiama Mrcc Roma. È disperato: «Nessuno ci ha richiamati». Lo passano all’interno. La comunicazione è disturbata.
Jammo: «Siamo a 70 miglia da Lampedusa».
Mrcc Roma: «Ripeti».
Jammo: «Stiamo andando giù adesso e abbiamo circa cento bambini. Mi scuso tanto per chiamarvi. Ma Malta, quando ho dato loro la posizione, hanno detto che non...».
La batteria del Thuraya si sta scaricando e i disturbi coprono le parole.
Mrcc Roma: «Hallo, sir? Hallo?».
Jammo: «Siamo solo a 70 miglia da Lampedusa. Sì, sette zero».
Mrcc Roma: «Sì ma Malta è... Malta sa già della vostra posizione, della vostra emergenza. Avete contatti con Malta?».
Jammo: «Sì, sì... disturbi... Stiamo... disturbi... adesso... non sto dicendo bugie, non sto dicendo bugie. Stessa posizione».
Mrcc Roma: «Passerò tutte le tue informazioni a Malta, ok? Hai detto che siete cento persone a bordo? Uno zero zero. Hallo?».
Disturbi incomprensibili. Dal peschereccio non telefoneranno più. Dopo un’ora, alle 16.38, Mrcc Roma richiama Cincnav: «Comandante, l’aereo maltese ha individuato l’obiettivo (il peschereccio alla deriva). È al corrente anche del fatto che c’è una vostra nave (la Libra) a circa 19 miglia, quindi vuole fornire delle istruzioni alla nave essendo in questo momento Malta l’autorità Sar competente. Ora, se per lei va bene, sarebbe il caso che la nave avesse diretti contatti con Malta senza il nostro tramite».
È la soluzione più rapida, sicura e ragionevole.
Ma Cincnav risponde: «Eh, un attimo, io qua ne devo parlare con il capo ufficio operazioni».
Mrcc Roma: «Io nel mentre scansiono anche il fax che ci ha inviato Malta, così avete un altro elemento di valutazione. Ci aggiorniamo fra qualche minuto».
La Marina giorni dopo riferirà che alle 13.34 la nave “Libra-P402” è a 27 miglia dai siriani che stanno affondando, 50 chilometri. L’equipaggio e la sua comandante, Catia Pellegrino, 37 anni, saranno gli eroi dell’operazione Mare nostrum. Loro a bordo però non possono conoscere il rimpallo di telefonate e fax. Alle 16.38 dunque sono ancora a 19 miglia, 35 chilometri dal peschereccio. In queste tre ore, nonostante le varie chiamate di emergenza, il comando navale fa percorrere alla Libra soltanto 15 chilometri. Una velocità pedonale di cinque chilometri l’ora. Meno di tre nodi sui diciotto-venti che la nave può tranquillamente mantenere e che avrebbe permesso all’incolpevole tenente di vascello Pellegrino di soccorrere i profughi già alle 15. Nemmeno l’elicottero a bordo viene mandato in volo. I maltesi finalmente se ne accorgono.
Alle 16.44 Mrcc Roma chiama Rcc Malta in risposta alla loro richiesta di poter dare istruzioni direttamente alla Libra.
Mrcc Roma, voce maschile, sempre in inglese: «Madam, riguardo il vostro ultimo fax, ho alcune domande. Voi sapete che la nave da guerra rappresenta una unità importante che ha lo scopo di avvistare i nuovi obiettivi nell’area Sud. Se avete bisogno che mandiamo una nave da guerra a soccorrere le persone, successivamente con la nostra nave da guerra abbiamo l’incarico di trasferire (i profughi) alla costa più vicina. Io penso che non sia il miglior modo di operare perché poi non avremmo unità nell’area, in grado di avvistare nuovi obiettivi».
Rcc Malta: «Aaah, è la P402? La P402 è la nave da guerra».
Mrcc Roma: «No, veramente non la P02».
Rcc Malta: «P402».
Mrcc Roma: «P42 è la vostra nave».

 

 

 

 

La lotteria dei codici.

 


Rcc Malta: «No, P-quattro-zero-due è una nave militare italiana, non so se è una vostra nave».
Mrcc Roma: «Ah bene, probabilmente è una nave della Marina e non della Guardia costiera, non sono troppo sicuro...», dimostrando di non conoscere il distintivo ottico dipinto sullo scafo della Libra.
Rcc Malta: «Ah, non è della Guardia costiera, ok. È la più vicina a questo peschereccio, capisci? Perché abbiamo un aereo nell’area e hanno avvistato i migranti che sembrano circa duecentocinquanta. E la nave ha smesso di muoversi ora e loro continuano a telefonare. E chiedono: quando arriva la nave? E quella (la Libra) è la più vicina. Se voi non potete mandare la vostra nave, noi dobbiamo vedere cosa dobbiamo fare. Abbiamo anche detto a una nave civile di provare ad andare nell’area, ma è lontana circa 70 miglia nautiche dal peschereccio».
Mrcc Roma: «Oh bene, noi, penso che sarebbe una buona idea cominciare a coinvolgere anche una nave commerciale. Naturalmente ho già passato il vostro fax alla nostra Marina. Ma abbiamo bisogno anche di questo tipo di...».
Rcc Malta: «Di attività».
Mrcc Roma: «Di attività, perché dobbiamo anche vigilare, sai, perché sappiamo che ci dovrebbero essere altri obiettivi oggi. Quindi, se la nostra nave da guerra abbandona l’area, dopo non abbiamo altre navi per avvistare l’area. Questo è un altro punto importante».
L’ufficiale donna di Rcc Malta, con tono molto sorpreso: «Cosa stanno cercando di avvistare? Quali sono le caratteristiche di queste imbarcazioni da avvistare: migranti o altri obiettivi?».
Mrcc Roma: «Migranti».
Rcc Malta: «Ok, quindi stai dicendo che se gli dite di spostarsi (alla Libra), non avete altre navi nell’area?», anche se la Espero, altro pattugliatore della Marina, è a 96 chilometri.
Mrcc Roma: «Sì, di solito lavoriamo in questo modo. Usiamo le nostre unità più grandi per gli avvistamenti e dopo, se ci sono navi commerciali, noi preferiamo impiegare loro. E dopo organizzare rendez-vou con le nostre motovedette, quelle piccole. Perché non vogliamo perdere l’area, vogliamo sempre mantenere alcune navi per avvistare nuovi obiettivi».
Rcc Malta: «Aaaah, ok, capisco».
Mrcc Roma: «Naturalmente, nel caso fosse l’ultima e unica soluzione, usiamo anche le navi da guerra per i trasferimenti. L’abbiamo fatto alcune volte».
Rcc Malta: «Avete altre navi che possono andare nell’area? C’è qualcosa nelle vicinanze? Vi abbiamo dato la posizione. Ma noi non abbiano nessuna nave nell’area. È a Sud di Lampedusa, capisci? Possiamo richiamare una delle nostre navi e provare a mandarla ma richiederebbe un po’ di tempo per arrivare. Voi non avete nient’altro nell’area?».
Mrcc Roma: «Nell’area? Te l’ho detto c’è...».
Rcc Malta: «Solo questa qua, sì (la Libra)».
Mrcc Roma: «Avete una posizione aggiornata del peschereccio?».
Rcc Malta: «Sì, sono fermi».
Mrcc Roma: «Bene, Madam, penso che il capo deve provare a trovare una nave commerciale».
Rcc Malta: «Sì, proveremo».
Mrcc Roma: «Allo stesso tempo ho passato tutto alla Marina italiana. Le darò qualche risposta, ma nel frattempo, per favore».
Rcc Malta: «Vi terremo aggiornati, ok».
Cinque ore dopo il primo allarme, alle 17.07, Rcc Malta richiama Mrcc Roma.
È la stessa voce femminile Rcc Malta: «Pronto, sono l’ufficiale di servizio per dirvi che il nostro aereo ha visto il peschereccio capovolgersi, la gente è in acqua. Del peschereccio, di cui ti sto dicendo».
Mrcc Roma: «Sì».
Rcc Malta: «Il peschereccio è affondato. Si è capovolto, la gente è in acqua».
Mrcc Roma: «È la stessa barca di cui mi hai detto?».
Rcc Malta: «È la stessa barca, si è rovesciata».
Mrcc Roma: «Bene, io ho già passato le istruzioni a nave Libra».
Rcc Malta: «Dì loro di andare in fretta verso la posizione perché la gente è in acqua».
Mrcc Roma: «Sono in acqua e la barca si è capovolta... Ok, posso confermare che la Marina italiana è già in movimento».
Mrcc Roma chiama Cincnav: «Buonasera, sì allora, il barcone che prima le ho segnalato, adesso Malta ci ha aggiornati sul fatto che il loro aereo l’ha avvistato capovolto con persone in mare. Quindi bisogna comunicare alla vostra nave di raggiungere la posizione a tutta la velocità consentita».
Cincnav: «’azzo... ok, stiamo subito comunicando».
Sette giorni dopo, con l’operazione Mare nostrum, il governo italiano cambierà le regole di intervento. (Fabrizio Gatti, 2017)

 

 

 

 

Non è facile puntare la cinepresa sul più grande massacro di civili di cui è formalmente accusata la nostra Marina militare. Nessuna Procura italiana o maltese o europea ha mai ascoltato i testimoni, nemmeno quelli principali. Nessuna. Quindi non ci sono carte giudiziarie da cercare, verbali da leggere, investigatori da intervistare. Abbiamo dovuto fare da soli. “Un unico destino”, il film prodotto da Espresso, Repubblica e Sky con “42° Parallelo” per “Gedi - Divisione digitale”, è prima di tutto un dovere contro l’indifferenza.
Ma non solo. Il film è anche un viaggio nelle pieghe più nascoste dell’anima di tre papà: quei luoghi privati raramente raggiungibili dove si inseguono la tenerezza di un genitore per i propri figli, l’amore per le proprie mogli ma anche i demoni indomabili dei sensi di colpa. Perché i piccoli protagonisti della storia, i loro bambini, appartengono oggi al Mediterraneo. Li hanno portati lì i loro padri, per liberarli dalle immagini oscene della guerra. Era l’unica via percorribile lungo la rotta tra il terrore e l’Europa, tra la Libia e la salvezza. E lì sono rimasti, dispersi in mare per sempre.
(…)
La caratteristica che unisce le diverse produzioni come “Un unico destino” è ben definita: sono storie che non devono essere raccontate. «Andiamo a mettere il dito dove solitamente i media si fermano», dice Mauro Parissone, direttore editoriale di “42° Parallelo”, la società specializzata nei film “non fiction”: «Approfondiamo dove non c’è interesse ad andare oltre. Dove vince la superficialità, il galleggiamento. Affrontiamo temi centrali senza scorciatoie, raccontando quello che non deve essere raccontato. Perché non si può, perché è politicamente scorretto, perché nessuno ha voglia di sobbarcarsi rogne e di lavorare così tanto. Nell’era della post-verità, proviamo a fare ciò che nessuno osa più fare: ripartire dai fatti, raccontare storie che lasciano il segno e che aprono una discussione nella società in Rete. “Un unico destino” è il frutto di una profonda innovazione di processo, in cui il linguaggio diventa anche contenuto».
Mazen Dahhan, 40 anni, fa il medico in un paese della Svezia. Ayman Mostafa, 42 anni, fa il chirurgo nel più grande ospedale di Malta. Mohanad Jammo, 44 anni, fa l’anestesista in una cittadina della Germania. Sono loro i protagonisti del film. Ogni giorno nel loro lavoro curano decine di persone. Sanno bene cosa significa soccorrere e salvare il prossimo. E ogni giorno si svegliano nella nuova vita con il dolore più straziante per un uomo. È il loro unico, identico segreto: dentro la loro anima, si sentono responsabili della morte dei propri figli.
Mazen, Ayman, Mohanad sono nati ad Aleppo, in Siria, e lì sono cresciuti, hanno studiato, si sono sposati e hanno visto nascere i propri bambini. Fino ai giorni della guerra, che ha sfregiato la loro città, la Firenze d’Oriente. Mazen, Ayman e Mohanad scappano con le loro famiglie in Libia, l’unico Paese che offre un lavoro in ospedale. Ma la guerra li insegue anche lì. E in Libia, a Tobruk, a Misurata, a Tripoli, scoprono di non avere più vie di fuga. È per questo che decidono di attraversare il Mediterraneo e di chiedere aiuto all’Europa. Ed è su quello stesso peschereccio che l’11 ottobre 2013, esattamente quattro anni fa, i destini di Mazen, Ayman, Mohanad, dei loro bambini, delle loro mogli si intrecciano. Abbiamo già scritto di questo naufragio che ha spinto il governo italiano ad avviare l’operazione di salvataggio “Mare nostrum”. E continueremo a scriverne finché non verrà raccontato un finale rispettoso delle 268 persone annegate, tra le quali almeno 60 bambini.
Ormai sappiamo che non sono morti per colpa dei loro papà. Per questo ci ha colpito la temerarietà del tenente di vascello Catia Pellegrino, 41 anni, anche lei coprotagonista del film, in quegli stessi mesi comandante di nave Libra e volto immagine della Marina militare. Lei e il suo pattugliatore il pomeriggio dell’11 ottobre sono i più vicini al peschereccio che sta affondando. E proprio per le sue missioni di soccorso, alla vigilia del secondo anniversario del naufragio, Catia Pellegrino viene premiata dal Quirinale con il titolo di “Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana”. Alla fine della cerimonia, subito dopo aver stretto la mano al capo dello Stato, Sergio Mattarella, l’allora comandante di nave Libra risponde in una intervista tv che la Marina militare «ha lavorato incessantemente per quattordici mesi nel soccorso ai migranti, ma soprattutto la Marina militare italiana lo fa da sempre: contrariamente a quanto molti sanno, lo fa veramente da tanti anni». Poi tra le operazioni da ricordare, ne cita una sola: «Il naufragio dell’11 ottobre. Abbiamo salvato più di duecento persone. Molte hanno perso la vita. Ma è stata una prova non solo di solidarietà: anche di professionalità e grande coraggio».
Lavorando alle riprese abbiamo scoperto che non è andata così. Da quattro anni alcuni ufficiali della Marina militare nascondono il segreto: nave Libra e i comandanti in capo della centrale operativa di Roma della Squadra navale il pomeriggio dell’11 ottobre si sono clamorosamente sottratti al loro dovere di soccorso. La loro fuga viene smascherata nel film da un pilota militare maltese che abbiamo rintracciato: il maggiore George Abela, comandante dell’aereo ricognitore inviato dal Centro coordinamento soccorsi di Malta a verificare le condizioni di galleggiabilità del peschereccio alla deriva con 480 persone a bordo, tra cui cento bambini.
La temerarietà dell’allora tenente di vascello Catia Pellegrino sta proprio qui: nel sostenere con il sorriso sotto gli stucchi del Quirinale, il tempio laico dello Stato, una versione che non corrisponde alla verità. Tanto che la sua risposta all’intervista tv dopo aver incontrato il presidente Mattarella risuona curiosa come un lapsus: «Contrariamente a quanto molti sanno», dice lei. Cos’è che molti sanno e non ci dicono?
Li credevamo eroi del mare. Il film diventa invece il ritratto dell’Italia contemporanea. Dove anche quanto sembra buono si rivela all’improvviso una patacca. Ecco: la fuga di questi ufficiali dal dovere della verità continua anche oggi. Rassicurati dal silenzio dello Stato maggiore della Marina che, di fronte a 268 morti, quasi tutti dispersi in acqua, ha fornito versioni non vere al Parlamento credendo così di «salvaguardare la forza armata e l’onore», come hanno scritto in un recente comunicato. Sono risposte che ricordano il muro di gomma dell’Aeronautica militare ai segreti della strage di Ustica.
Abbiamo girato ore di immagini in Svezia e in Germania. Ma alla fine la lente delle nostre telecamere tornava a inquadrare il Mediterraneo, il centro dell’orrore. Sempre lì, davanti alla stessa domanda che i papà del film rivolgono agli ufficiali della Marina italiana: perché avete lasciato morire i nostri bambini? (Fabrizio Gatti, 0tt0bre 2017)
 

 

 

 

Io sono un medico, so che un errore è sempre possibile.
Ma non riesco a capire la perdita di tempo.
Se invece di correre in sala operatoria, mi allontano e il paziente muore,
io sono responsabile.
È l’assurda banalità di quello che è successo a tormentarmi.
Abbiamo atteso cinque ore i soccorsi,
ho poi saputo che la nave italiana poteva salvarci in 45 minuti.
Erano così vicini e ci hanno lasciati morire.

 

Mazen Dahhan