Giugn 2014. Fluctus.

 

 

 

 

E io ti ho amato, oceano,
e la gioia dei miei svaghi giovanili,
era di farmi trasportare dalle onde
come la tua schiuma;
fin da ragazzo mi sbizzarrivo con i tuoi flutti,
una vera delizia per me.
E se il mare freddo faceva paura agli altri,
a me dava gioia,
Perché ero come un figlio suo,
E mi fidavo delle sue onde, lontane e vicine,
E giuravo sul suo nome, come ora....."

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, La Jument.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 


Sono sempre stato attratto dal mare in tempesta, dai marosi che frangendosi divorano la battigia o innalzano colonne schiumanti verso il cielo aggredendo scogliere o opere dell'uomo, dall'urlo talvolta assordante della burrasca, dal vento che sferzante ti infradicia di gocciole e odore di salsedine. Protagonista della mareggiata, come de "el mestée del mes", è lei, l'onda, ovvero il fluctus, che avvicinandosi alla costa progressivamente si impenna per poi ricadere violenta, divenire risacca trascinante, mugghiante, ripetendosi all'infinito in variazioni imprevedibili. Ricordo con nostalgia le mareggiate che da piccolo e meno piccolo mi gustavo avidamente in Liguria, guardandole per ore o, se in estate, anche tuffandomi nelle onde. La più imponente vista risale ai primi anni '70, inverno, Cogoleto, col mare che invase "passeggiata" e oltre via Aurelia. Da tempo non ne vedo una, ma prima o poi una toccata e fuga per vederne una e fotografarla diverrà inevitabile. Sono in forte crisi di astinenza...
Per le immagini ho scelto tre fotografi divenuti famosi per aver illustrato con la loro arte i fluctus nelle loro espressioni: Jean Guichard, Clark Little, Pierre Carreau. Guichard coi suoi fari nella tempesta dell'oceano Atlantico e della Manica, Little con le sue onde dell'oceano Pacifico alle isole Hawaii, Carreau con le sue onde dei Caraibi. Riguardo ai testi ho riportato semplicemente narrazioni di mareggiate storiche in Liguria(tratte dal volume più avanti citato) e di un evento misterioso ambientato in un faro delle isole Flannan.
Per chi volesse approfondire i fluctus, con spiega scientifica, con documentazioni fotografiche e scritte, con indicazioni esaustive su dove, quando e come fotografarli, ma il tutto solo mirato alla Liguria, consiglio "Wave watching", ed.Hoepli, 2011.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Armen.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Le Four.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, La Jument.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Lo stato del mare si misura convenzionalmente in mare aperto, a una distanza dalla costa su cui il fondale sia di almeno 100 metri, attraverso la Scala Douglas. È importante sottolineare il nesso tra stati del mare e l'altezza d'onda significativa (Hs) corrispondente. Per esempio, quando il mare è "molto mosso" non significa che l'altezza delle singole onde sarà compresa tra 1,25 e 2,5 metri; con tale intervallo si identificherà invece l'altezza significativa delle onde. Occorre considerare le onde dal punto di vista energetico: visto che l'energia delle onde segue una distribuzione statistica si è potuto così stabilire che uno stato di mare con altezza d'onda significativa Hs avrà:
- altezza media delle onde pari al 63% di Hs;
- circa un decimo delle onde la cui altezza potrà essere superiore a Hs per un 27% del suo valore;
- un'onda massima (1'1% delle onde) la cui altezza potrà essere addirittura il 67% più alta di Hs.
Se si applica la legge sopra citata, per esempio, a un mare agitato, corrispondente allo stato 5 della Scala Douglas, con onda significativa compresa tra 2,5 e 4 metri si ottiene:
- l'altezza media delle onde tra 1.7 e 2.7 metri;
- il 10% delle onde tra 2,5 e i 3 metri circa;
- onda massima fino a circa 7 metri.

 

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Le Four.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Armen.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Armen.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 


La mareggiata del 1989. Camogli.


Era domenica, il 14 del mese di febbraio del 1989. Una bella giornata, fresca, ma tersa, con un bel sole che scaldava le membra intorpidite dell'inverno (beh, ora basta parlare in maniera poetica...). Il mare era già mosso, molto mosso. Io dormivo ancora nella "casa di sopra", sopra la sacrestia, cioè, e la finestra della mia cameretta dava sul porto. Quando mi svegliai non notai particolare movimento nel porto, era una mareggiata come tutte le altre.
Durante la mattinata, però, ci si accorse che il mare stava ingrossando sempre più. Già alle 10 metà della spiaggia era invasa dalla bianca schiuma delle onde, ed alcune barche erano già state spinte verso monte, le une accanto alle altre. I segnali non mancavano, le onde erano veloci e sempre potenti, si schiantavano contro il Giorgio e salivano alte, a lambire la facciata della Chiesa, mentre l'acqua che finiva poi in spiaggia stava scavando buche profonde intorno al molo.
Alle 11 ed un quarto il primo grande boato. In chiesa. Eravamo al salmo responsoriale, la ragazza recitava il ritornello "Il Signore protegge il suo popolo". In quel momento uno schianto si propagò per la chiesa, un'onda particolarmente alta aveva infranto la vetrata di S. Prospero ed era entrata nel coro, sparpagliando sull'altare i pezzi della vetrata, della rete di protezione, e del vetro di protezione (2 centimetri di spessore), nonché alcune pietre. Il gelo avvolse i fedeli, i chierichetti sull'altare fuggono, poi finalmente si andò a vedere se qualcuno si era fatto male, e fortunatamente al momento della caduta dei vetri, nessuno era presente di sotto. Intanto l'acqua scorreva copiosa sul legno del coro, ma era il danno minore. Dopo alcuni minuti di concitazione, la funzione riprense regolarmente, ma ogni volta che un'onda rimbombava sugli scogli, tutti trattenevano il fiato, aspettandosi un'altra ondata. Ma fortunatamente ciò non accadde. Terminata la celebrazione delle 11, mio padre cercò di tamponare i danni, asciugando prima di tutto l'acqua dal pavimento ma anche dagli scranni, poi vennero rimossi i pezzi pericolanti della vetrata, in modo che non potessero cadere all'improvviso.
L'acqua non entrava più dallo squarcio, ma gli spruzzi e l'odore di salsedine avvolgevano ormai tutto l'altare a ogni nuova ondata. La vetrata di S. Prospero è divisa in segmenti orizzontali, ognuno di mezzo metro di altezza. Si erano infranti il primo dal basso, il terzo ed il quarto, fino al collo del Santo. La celebrazione seguente si svolse senza particolari problemi, la folla era tranquilla.
Intanto il mare in spiaggia stava già portando via le prime barche e le prime canoe. Prima le onde si limitavano a spingere le barche, ma la forza divenne tale da sollevare le barche in prima fila, e di portarle via con sé. La loro sorte era segnata, già venire sballottate da una parte all'altra in spiaggia non era piacevole, ed ogni nuova ondata che le travolgeva, ne faceva rompere un pezzo. Era così che si spezzarono le canoe e le barche in vetroresina. A peggiorare le cose sorsero anche i tubi della fogna, che il mare aveva dissotterrato dalla spiaggia. Sui sassi vi erano alcuni pezzi di tubo e cubi di cemento con i tombini per l'ispezione dei tubi, dove si schiantavano le barche trascinate dalla risacca.
Fu verso le 3 del pomeriggio però che si scatenò il peggio: eravamo tutti alla finestra che dava sulla passeggiata, quelle che davano sul mare erano irrimediabilmente chiuse dalla forza delle onde. Alcune barche erano state portate via dalle onde, mentre altre erano state portate via dai proprietari o dai pescatori, e messe al sicuro in piazza Colombo o lungo la passeggiata a mare. Ma molte altre erano ancora in spiaggia, tra esse c'era anche l'Ü Dragun. Molte persone erano affaccendate a spostarle, mentre altre erano solo incuriosite dalla forza del mare, e stavano a guardare.

 

 

 

 

 


Mi ricordo di un tizio, che cercava di spostare una barchetta che era appoggiata su di un gozzo più grande; all'improvviso sentimmo un forte rombo proveniente dall'infrangersi di un'onda particolarmente alta sul Giorgio, e la gente cominciò a urlare e scappare: l'acqua arrivava molto velocemente, non c'era più tempo per scappare in passeggiata, e questo tizio si era arrampicato sul lampione della luce. Non l'avesse mai fatto! L'acqua infatti raggiunse le barche rimaste in spiaggia, le sollevò come se fossero di carta, e le sbatté tutte in passeggiata, travolgendo il lampione e il tizio che ci si era arrampicato sopra. In un attimo ci si rese conto della tragedia: 10-15 barche erano state spinte in via Garibaldi, travolgendo chi non aveva avuto il tempo di scappare... del resto non c'era neanche lo spazio per scappare, visto che le barche erano arrivate fino ai negozi, rompendo le vetrine di B&B (dove adesso c'è il Ristorante Il Portico).
In spiaggia non era rimasta neanche una barca. Io e Daniele corremmo giù a dare una mano nelle operazioni di soccorso, mentre mia sorella scoppiava in lacrime. Già nel mandraccio c'erano 50 centimetri di acqua, di quella che proveniva da Piazza Colombo: l'onda, infatti, dopo essersi infranta sulle barche, aveva fatto il giro del portico, ed aveva invaso tutta la piazza. A questa si aggiungeva quella che arrivava direttamente dal porto, che confluiva nel mandraccio. Alcune barche erano già state portate via, in modo da vedere chi fosse rimasto schiacciato dalle barche. Mi pare di ricordare che il tizio sbalzato giù dal lampione si fosse rotto una gamba, mentre invece sorte peggiore fosse capitata ad una ragazza che ha perso due dita di una mano, per una barca che le era piombata addosso. Anche da Revello si contava un ferito, l'inferriata abbattuta infatti aveva rotto una finestra che dava sul forno, dove lavorava un ragazzo.
I lavori di soccorso durarono più di un'ora, e fortunatamente in quel periodo nessun'altra ondata venne a causare danni. Via Garibaldi era impraticabile: sassi, alghe, rottami di barche, lampioni, inferriate, topi annegati, di tutto era presente sul lastricato. I Vigili del fuoco e la Protezione Civile accorsi sul posto decisero di chiudere immediatamente l'accesso alla passeggiata, per evitare che altri curiosi rischiassero la vita nel guardare la mareggiata. Intanto qualcuno si era accorto che dal Giorgio mancava un pezzo. Le onde infatti, si erano portate via tutto il pezzo di cemento con le scalette, più di 10 tonnellate di peso. Il molo invece di avere i 5 gradini per salire ed il rotondo dove prendere il sole, aveva un grosso unico scalino verso il basso, e sotto il Ristorante Rosa, un'intera parete di roccia era franata in mare, compromettendo le stesse fondamenta del Ristorante.
La mareggiata non accennava a diminuire d'intensità. I Vigili chiusero anche l'accesso alle scale della Chiesa, sembrava infatti pericolante tutta la parte del Castello, dove non arrivavano solo gli spruzzi come in tutte le mareggiate, ma direttamente le onde, sollevandosi di ben 20 metri d'altezza. Inoltre le case sulla Bardiciocca erano prese di mira in maniera particolare dalle onde, non avendo protezione se non qualche scoglio. E infatti i primi piani di tutte le case irrimediabilmente si allagarono: la forza delle onde scardinò finestre e persiane ed invase tutti gli appartamenti. Sul molo i giganteschi blocchi di cemento (5x3x4 metri di dimensioni), all'apparenza indifferenti alle onde, si erano spezzati, o spostati, rovesciati... prima erano una fila perfettamente orizzontale, ora sembrano appoggiati alla rinfusa.
Nel porto non si contavano più le barche affondate: le onde, infatti, passavano tranquillamente la barriera del molo e riversavano tutta l'acqua sulle barche ormeggiate in porto, dove le prime file erano già state completamente decimate. Purtroppo anche la nuova pavimentazione del molo fece una brutta fine, ad una ad una, tutte le ciappe furono sbalzate dalla loro sede e trascinate in mare. Anche gli stabilimenti balneari non furono risparmiati: il Lido addirittura perse il pavimento, sfondato dalle onde, che, scavate le fondamenta, entrarono poi da sotto il pavimento, allagandolo completamente.
Alla fine della giornata il mare sembrava essersi finalmente tranquillizzato. Il giorno dopo tutta Camogli sembrava essere uscita da un bombardamento, la passeggiata a mare era impraticabile dalle auto, ostruita dalle barche ancora intere e dai rottami di quelle più sfortunate. Pian piano si fece il conto dei danni, si cercò di focalizzare le nuove geografie che aveva assunto la costa (le spiaggette sotto il Monte, ad esempio, erano franate ancora di più). (Giovanni Casagrande)

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 


Jean Guichard, La Jument.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Armen.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Armen.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

Il faro di Eilean Mor.


La prima volta che sono venuta a conoscenza per puro caso del fatto che sto per raccontarvi non l'ho preso per vero. Ho pensato ad una leggenda locale o all'invenzione di qualche fantasioso scrittore, così ho deciso di documentarmi e, seguendo gli indizi, sono arrivata ai National Archives of Scotland, ed ecco, davanti a me, i documenti originali, i telegrammi, la corrispondenza, i rapporti, tutto quello che concerneva questo giallo, in caso misterioso accaduto centocinque anni fa e mai risolto. Il faro e l'Oceano Atlantico hanno mantenuto e manterranno per sempre il loro segreto.
Tutto è accaduto a Eilean Mor, "Grande Isola" in Gaelico, una delle isole Flannan, una manciata di sette scogli buttati quasi per caso nell' Atlantico del Nord Ovest, chiamate anche "I sette cacciatori", situate a 33 Km dalle Isole Ebridi, al largo della Scozia. Queste isole prendono il loro nome da un vescovo, Flannan o Flann, che nel 1600 aveva fatto erigere una cappella proprio su Eilean Mor. Il motivo che può aver spinto quel pio uomo a costruire una cappella in quell'angolo di mondo sperduto in quell'epoca e soprattutto le difficoltà che può avere incontrato per portare a termine il suo compito sono del tutto sconosciute, comunque tutto l'arcipelago è sempre rimasto disabitato.
In tempi antichi i pastori delle Ebridi solevano portare le loro pecore a pascolare su alcune di quelle isole, ricche di pascoli durante l'estate, ma mai vi passavano la notte. Quegli scogli avevano la fama di essere abitati da presenze misteriose, inquietanti e nessuno aveva la volontà di fermarsi a controllare se era vero. Meglio tornare con la rassicurante luce del sole. La "Grande Isola" ha una superficie di circa 150 metri quadrati ed il suo punto più alto raggiunge appena gli 80 metri. Anche se durante l'estate l'isola ha una lussureggiante fioritura e pullula di uccelli marini, non potrebbe esserci posto più desolato in tutto il mondo e mare più pericoloso intorno, infatti durante gli anni, con l'aumentare della navigazione in quella zona, aumentò il numero dei naufragi.
Per questo nel 1895 venne presa la decisione di illuminare quel tratto di costa tra le Flannan e l'isola di Lewis e la scelta cadde sull'isola di Eilean Mor. I lavori durarono a lungo, tra mille difficoltà, con il mare sempre in tempesta, come sempre succede per la costruzione di un faro in mezzo al nulla, e i due anni preventivati diventarono cinque. Il 7 Dicembre 1899 fu inaugurato a Eilean Mor un faro costruito da uno dei famosi architetti di fari della dinastia Stevenson, una piccola costruzione affiancata da una torre alta 22 metri, la cui lanterna lanciava due lampi in rapida successione ogni 30 secondi visibili a 24 miglia di distanza. Al di sotto del faro si trovava ancora la piccola, antica cappella in pietra, costruita duecento anni prima.
Il 7 Dicembre 1900, nel primo anniversario della sua inaugurazione, arrivarono sull'isola i guardiani in carica per il turno quindicinale: James Ducat, Capo Guardiano, Thomas Marshall secondo assistente e Donald Mc Arthur, definito "guardiano occasionale", in quanto veniva ingaggiato quando c'era da sostituire qualcuno; in questo caso era arrivato al posto di William Ross, il primo Assistente, che si era ammalato.
Tutto procedette bene fino alla notte del 15 Dicembre 1900, quando il comandante della la nave "Archtor", passando nelle vicinanze notò che la luce del faro era spenta. Dalle informazioni che si hanno sembra che questa notizia sia stata inviata dal comandante alle autorità competenti, ma che per qualche motivo non venne presa in considerazione o rimase in qualche cassetto. Il 21 Dicembre era previsto l'arrivo all'isola della nave "Hesperus", nave appoggio ai fari, che veniva inviata dal Northern Lighthouse Board per una visita di routine al faro, ma anche per l'avvicendamento degli uomini e per l'approvvigionamento. Una terribile tempesta che infuriava nella zona ne dilazionò l'arrivo fino al 26, il giorno dopo Natale.
Il tempo si era schiarito, ma comunque gli uomini dovettero effettuare diversi tentativi per poter attraccare ad uno dei due pontili del faro, situati uno a oriente ed uno ad occidente dell'isola in modo da offrire possibilità di sbarco in condizioni di mare e di vento diversi, perché il mare era ancora agitato e l'approdo difficile. Con grande sorpresa dell'equipaggio nessuno dei guardiani del faro era in attesa, come di solito avveniva, per aiutare gli uomini che si sarebbero avvicinati su una piccola barca, così il comandante Harvie fece sparare un razzo e suonare la sirena, senza ottenere alcuna risposta, allora due dei componenti dell'equipaggio, con molta difficoltà, riuscirono a scendere a terra con una barca, la tirarono in secco ed andarono al faro per vedere cosa fosse successo.
Il cancello d'ingresso e la porta del faro erano entrambi chiusi a chiave, e gli uomini dovettero entrare usando quelle di riserva, ma non c'era nessuna traccia dei tre guardiani. L'orologio nella stanza principale era fermo, il fuoco nel camino era spento, i letti erano in ordine, sul tavolo della cucina un piatto di stufato era stato lasciato a metà e c'era una sedia rovesciata sul pavimento, come se qualcuno fosse uscito molto in fretta. Nell'armadio trovarono una sola cerata ed un solo paio di stivali, segno che due degli uomini dovevano essere usciti durante il maltempo vestiti in modo appropriato, ma il terzo? Era plausibile che fosse uscito in maniche di camicia mentre infuriava una tempesta?
Il libro di servizio del faro era in ordine fino al 13 Dicembre, e le istruzioni per i giorni 14 e 15 erano state scritte su una lavagna da Ducat, il Capo Guardiano. Un appunto era stato cancellato. Risultava che la lanterna era stata accesa il 14 notte, poi era stata ripulita e messa in ordine per essere riaccesa il 15 sera, era persino stato aggiunto l'olio di balena nella lanterna, ma perché era rimasta spenta? Tutto faceva pensare che gli uomini fossero scomparsi in qualche momento dopo l'ora di pranzo e prima che calasse la sera del giorno 15 e che il faro fosse abbandonato da diversi giorni.
Furono fatte ricerche accurate per tutta l'isola, in tutti gli anfratti, in tutti gli angoli possibili, ma non portarono ad alcun risultato, nessuna traccia dei guardiani. Una prima impressione faceva pensare che potesse essere scoppiata una lite, forse dovuta al prolungato isolamento, tutti sanno che può anche portare alla pazzia, ma se pure si fossero picchiati a sangue, come era possibile che fossero spariti tutti e tre?
Alcuni uomini dell'"Hesperus", tra i quali un certo J. Moore, si fermarono provvisoriamente sull'isola per riattivare il faro che era stato spento dal 15 al 26 Dicembre, e, prima di poter pensare ad investigare a fondo, la Commissione Scozzese per i fari prese rapide misure per rimetterlo in funzione. Il 27 Dicembre inviò un telegramma al guardiano del faro di Tiumpan Head sull'isola di Lewis : "Incidente alle Isola Flannan. Recatevi là a prendere servizio per circa due settimane. Incontrerete la nave postale "Stornway" domani notte. Jack, Assistente guardiano, arriverà con la nave. Recatevi insieme a Breascleit a raggiungere l'"Hesperus". Ferrie, di Stornway arriverà stanotte per prendere servizio a Tiumpan Head. Risposta per telegramma". Questa la parte burocratica e la prima, urgente soluzione al problema di poter tenere acceso un faro così importante, ma benché in seguito venissero fatte altre accurate indagini, nessuno riuscì e venire a capo del mistero.
Dove erano finiti i tre uomini? A tutti sembrava impossibile che tre esperti guardiani di un faro in una zona disagiata come quella fossero usciti insieme all'aperto durante una tempesta, come risulta dal lungo rapporto scritto dal Sovrintendente Robert Muirhead l'8 Gennaio 1901. Quest'uomo era andato sull'isola il 29 Dicembre per investigare, ed il suo dettagliato rapporto è conservato negli Archivi Nazionali di Scozia. Da questo risulta che ogni possibile ricerca era stata fatta sia all'interno del faro che per tutta l'isola e che niente mancava. Tutta via qualche stranezza venne notata: vicino all'imbarcadero occidentale mancava un salvagente che si trovava alloggiato in quel posto per i casi di emergenza ed una gru che sovrastava le rocce era mezzo divelta, con le funi tutte aggrovigliate.
La conclusione fu che, anche se il 15 Dicembre era stata una giornata di mare abbastanza calmo, un'ondata anomala di particolare violenza e dimensioni doveva avere investito all'improvviso quella zona, strappando il salvagente dalla sua posizione e danneggiando la gru e che gli uomini, forse accorsi per riparare i danni, dovevano essere stati travolti da quell'ondata improvvisa e miseramente annegati o forse uno era caduto in mare e gli altri, nel tentativo di salvarlo, avevano subito la stessa sorte. Però le imbragature di sicurezza erano al loro posto, come era pensabile che tre uomini con la loro esperienza non avessero usato quegli attrezzi così utili per la salvezza? Restava comunque il mistero della cerata non indossata.
Al Sovrintendente toccò anche il triste compito di avvisare personalmente le tre vedove. Nel frattempo era giunta voce che il faro era rimasto non visibile dalla terraferma, se non spento, per alcune notti, tra il 7 ed il 26 Dicembre, notte in cui fu riacceso dai marinai dell'"Hesperus" e questo creò un altro mistero. Il Sovrintendente aveva avuto una conversazione con il Capo Guardiano Ducat proprio il 7 Dicembre quando lo aveva accompagnato sull'isola e, in quell'occasione, era stato presa in considerazione l'opportunità che i guardiani esponessero un segnale anche di giorno per comunicare che tutto andava bene. Tutto questo era comunque di poca utilità, perché le condizioni atmosferiche della zona non consentivano mai una buona visibilità del faro da terra. La relazione si conclude con parole di rincrescimento per la perdita di tre uomini così validi, selezionati personalmente dal Sovrintendente stesso per lavorare in un faro dell'importanza di quello delle Isole Flannan e con la consapevolezza che con la sua visita a Eilean Mor, il 7 Dicembre, lui era stato l'ultima persona a stringere la mano a quegli uomini.
Queste le conclusioni ufficiali, anche se il caso non venne mai ufficialmente chiuso, seguite da anni di ulteriori indagini, che però non hanno mai portato a niente. Nel 1947 un giornalista, Valentine Dyal, si era recato sull'isola per scrivere un ulteriore resoconto degli avvenimenti, e pensò di avere messo la parola fine ad anni di speculazioni. Si riferiva all'esperienza vissuta da uno scrittore scozzese, Ian Campbell, che aveva visitato Eilean Mor un po' di tempo prima e che aveva raccontato che mentre si trovava all'imbarcadero occidentale in una giornata di mare assolutamente calmo e senza vento un'ondata improvvisa di oltre 20 metri si era improvvisamente alzata dal nulla, si era rovesciata sul molo, dopodiché tutto era tornato calmo e tranquillo Campbell si informò dai pescatori delle isole vicine e sentì raccontare storie di onde anomale che avevano inghiottito interi pescherecci, e che spesso di riversavano su quell'isola maledetta, ma di più non riuscì a sapere.
Ma ci sono state altre ipotesi, mai suffragate da fatti. Voci cominciarono a correre, si diceva che la cucina era in realtà tutta in disordine, che il dramma doveva essersi svolto all'interno del faro e non all'esterno e che i tre uomini dovevano essersi uccisi a vicenda, finendo poi in mare in qualche modo. Poi si accese anche la fantasia, qualcuno raccontò che un enorme serpente marino, chiamato "krake" avesse la sua dimora al di sotto di Eilean Mor e che fosse uscito dal mare per divorare i tre guardiani e che avesse distrutto la gru con un colpo di coda mentre tornava nella sua tana. Un'altra storia raccontava che tre bellissime sirene si erano affacciate all'imbarcadero mentre gli uomini erano intenti al loro lavoro e che li avevano portati in fondo al mare con le loro lusinghe. Non è mancato anche chi ha vagliato la possibilità che fossero stati rapiti dagli alieni.
Nel 1912 Wilfrid Gibson scrisse anche una poesia dedicata al fatto. Nel 1971 il faro è stato automatizzato ed ora è stato anche elettrificato per mezzo di cellule solari poste sul lato sud della torre, la modernità è arrivata anche in quello sperduto angolo di mare, così non c'è più nessun guardiano a prendersi cura della lanterna, ad accenderla ogni sera. (Annamaria "Lilla" Mariotti)

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Le Four.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, La Jument.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Le Creac'h.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

La mareggiata del 1955. Genova.


Il 18 febbraio il mare aveva raggiunto lo stato agitato, ma il 19 mattina sembrava accennare a calmarsi. Tuttavia, verso mezzogiorno risorse improvvisamente rabbioso, alimentato da un violentissimo vento di libeccio. Dopo questa breve e irruenta fase ascendente, segui un lungo periodo decrescente che aggravò i danni prodotti. A Genova non si avevano allora né oggi precedenti a memoria d'uomo di una mareggiata di tale potenza. La cronaca del tempo sembra esagerare, quando riporta che le onde potevano essere alte trenta metri; tuttavia, alcuni dati ci aiutano a stimare l'altezza effettiva raggiunta dalle onde.
Al largo una burrasca forte di libeccio risaliva dalle Baleari verso la Liguria, formando un mare ben strutturato e molto potente. l valori di vento registrati il 19 febbraio 1955 furono strabilianti soprattutto nell'Osservatorio della Marina Militare dell'isola della Palmaria (fuori La Spezia), quando il vento medio si mantenne oltre i 100 chilometri orari dalle ore 13 alle 19 e le raffiche oltrepassarono i 123 chilometri all'ora. Viene riferito che le onde avevano forma quanto mai irregolare, per la concomitanza del mare dominante da libeccio con un mare secondario da scirocco.
Una stima dell'altezza d'onda significativa nel Mar Ligure di circa 7 metri, con onde massime che potrebbero aver raggiunto 11-13 metri, pur non essendo state misurate, è decisamente coerente con i rilievi fotografici e le testimonianze di allora. I getti verticali d'acqua prodotti dal frangersi delle onde contro la diga di Genova raggiunsero altezza assolutamente senza precedenti: documenti fotografici mostrano getti alti circa 15O metri. Il settimanale "Epoca" riferisce: "qualcuno ha calcolato che al momento del capovolgimento del tratto di diga fronte a ponte Canepa, il mare esercitasse contro i moli una pressione di trenta tonnellate per metro quadrato con colpi d'onda che si succedevano ogni 12-15 secondi".
Durante la mareggiata del 1955 si verificarono due episodi rarissimi: la diga del Porto di Genova venne spianata per un fronte assai esteso e le acque dei golfi di Sestri Levante si congiunsero. Per questo motivo da quel momento si sarebbe usata come termine di paragone la " libecciata forza 1955". Gli articoli riferiscono di pesanti danni lungo tutta la riviera, sopratutto a Levante. Tuttavia, il fatto più eclatante fu senza dubbio la distruzione della diga, oltre ai danni alle infrastrutture e il rovesciamento di alcune navi all'interno del bacino portuale. l danni principali al porto furono i seguenti:
- Diga foranea: aperte sei brecce in punti diversi; danni alla scogliera esterna e asportazione del parapetto superiore del paraonde; compromessa irrimediabilmente la stabilità di tutto il prolungamento di levante del tratto noto come molo Duca di Galliera.
- Moli e banchine: ponte Eritrea testata ponente: danni a banchine, bitte, binarione di scorrimento gru; ponte Canepa: distrutti due pontili del cantiere di costruzione di cassoni, semidistrutti gli altri, distrutto il moletto frangirisacca dello spigolo Sudest, scalzamenti imponenti di tutte le banchine.
- Navi: affondamento della cisterna statunitense tipo T2 Camas Meadows ormeggiata in disarmo alla calata Derna, la motocisterna liberiana Atlantic Lord, sotto discarica alla darsena petroli, rotti gli ormeggi rimase solo sulle ancore andando a urtare la Camas Meadows e fallan- dosi gravemente a poppa; anche la pirocisterna Giove alla calata Derna ruppe gli ormeggi e rimase solo sulle ancore andando a squarciare la poppa contro il molo Ronco. Fra il ponte Canepa e il ponte Libia numerosi pontoni e bettoline della Silm e di altre imprese affondarono. Al ponte Eritrea la motonave svedese Nordanland, a causa della forte risacca, urto contro la banchina producendosi falle all'opera viva che ne provocarono il rovesciamento sul fianco sinistro e l'affondamento.
Non ci sono dubbi che si sia trattato dell'evento più importante del secolo scorso, senza nulla togliere ad altre enormi mareggiate precedenti e successive. (S.Gallino, A.Benedetti, L.Onorato, 2011)

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Kereon.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 


Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Le Four.

 

 

 

 

 

 Pierre Carreau.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Les Pierres noires.

 

 

 

 

 

Pierre Carreau.

 

 

 

 

La mareggiata del 1976. Lavagna.


Il consuntivo dei danni di Lavagna riportò la distruzione della spiaggia compresa tra piazza Milano e l'ex casello ferroviario 44. Furono abbattuti sei stabilimenti balneari costruiti su palafitte, Rosella, Boggiano, Nazionale, Mediterraneo, Lido e San Giorgio. Fu demolito il ristorante Medusa e risucchiata la spiaggia libera. La linea ferroviaria Genova-Roma, sommersa dai detriti e con i binari piegati, fu interrotta, e venne chiusa al traffico anche la via Aurelia. Solo quando la furia degli elementi si placò, gli uomini si misero al lavoro per ricostruire. II professor Remo Terranova, geologo dell'Universita di Genova, racconta che "all'epoca di quelle mareggiate, insieme al collega Giancamillo Cortemiglia, studiai il litorale di Lavagna, fra la foce dell'Ente|la e il promontorio di Sant'Anna. Durante le prime mareggiate e al termine del periodo tempestoso mi venne chiesto di concentrare le analisi sul tratto di litorale devastato con l'intento di preparare il progetto di ricostruzione.
La prima mareggiata di Libeccio(7-8 novembre) sfilò dalla spiaggia le palafitte degli stabilimenti, fece crollare le intelaiature e attaccò il muro di contenimento della passeggiata. Dal 1 al 5 dicembre una mareggiata ancora più violenta abbatté gran parte del muro di contenimento e arrivò a quello della ferrovia. Il colpo di grazia lo diede, dal 1O al 13 gennaio 1977, la terza mareggiata, sempre di libeccio. Le onde sfondarono il muro ferroviario sotto la massicciata dei binari, provocandone l'abbassamento. Inutile, la posizione del treno merci che era stato sistemato dalle Ferrovie dello Stato lungo il binario lato mare per proteggere la linea. La mareggiata inghiottì anche quello, scavalcando i vagoni colmi di massi e portando acqua e pietre miste a sabbia ovunque. Il traffico dei treni fu soppresso in entrambe le direzioni. Sulla piazzola dell'ex-casello 44 il ristorante Medusa fu demolito. Da giugno a novembre 1977 (...) furono trasportati 140.000 metri cubi di materiale lapideo con circa 17.000 viaggi di camion. Venne costruita una spiaggia lunga 6OO metri. Successivamente, sulla scogliera di protezione della linea ferroviaria sorse la strada, affiancata dalla passeggiata pedonale". (S.Gallino, A.Benedetti, L.Onorato, 2011)

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Nividic.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Teignouse.

 

 

 

 

 

Clark Little.

 

 

 

 

 

Jean Guichard, Tevennec.

 

 

 

 

 

Clark Little.