April 2014. Ningxia.

 

 

 

 

 

Seconda metà XIX secolo

 

 

 

 

Ningxia: ai più non dirà nulla, eccetto ai cultori di storia e civiltà cinese, o a chi incidentalmente ha dovuto farne conoscenza. E' una regione della Cina centrale e identifica i tappeti ivi manufatti dal XV al XIX secolo. Tappeti che negli anni '70 hanno attratto la mia attenzione e sono divenuti per me oggetto di piacere. Nulla a che fare con gli altri tappeti orientali, sono riscontrabili caratteristiche comuni unicamente con le altre antiche manifatture di area cinese, quali Gansu, Baotou, bacino del Tarim(Yarkand, Kashgar, Khotan), Pechino, non solo per la diversa simbologia rappresentata ma anche per la composizione e disposizione artistica della simbologia stessa e la delicatezza dei toni. Diversità e peculiarità che ne determinano -a mia personale valutazione- oltre alla piacevolezza visiva, una ricercata e trasfusa armonia, che ne rendono discreta ma profonda la frequentazione.
Per "el mestée del mes" ho creato una galleria virtuale di Ningxia (le foto purtroppo sono di mediocre qualità), allegando un breve testo introduttivo redatto dalla Galleria Eskenazi di Milano in occasione della mostra tenutasi nel 1995. Per singola opera ho riportato solamente l'epoca, escludendo misure e descrizione, per evitare dati che potessero condizionare l'espressività del tappeto nella lettura del proprio "sentire". Completano le "scritture": una dissertazione sul simbolo ricorrente nei tappeti che non solo ritengo sia il più sorprendente e quello che colpisce in assoluto l'immaginazione comune, ma che mi ha sempre ammaliato tanto che l'ho ricercato in alcuni miei componenti d'arredo (tra cui il Ningxia qui "esposto": il primo), e un volume in inglese "Antique Chinese Rugs", edito da Tiffany Studios, 1908.
Infine per chi volesse approfondire il tema, consiglio il libro "Intrecci cinesi. Antica arte tessile XV-XIX secolo", edito da Moshe Tabibnia-Milano 2011.

 

 

 

 

 

Prima metà XVII secolo

 

 

 

 

 

Seconda metà XVII secolo

 

 

 

 

 

XVII secolo

 

 

 

 

 

XVII secolo

 

 

 

 

 

Seconda metà XVII secolo

 

 

 

 

 

Seconda metà XVII secolo

 

 

 

 

 

Seconda metà XVII secolo

 

 

 

 

 

Fine XVII-XVIII secolo

 

 

 

 

 

Metà XVII secolo

 

 

 

 

 

Fine XVII - XVIII secolo

 

 

 

 

 

Inizio XVIII secolo

 

 

 

 

 

Inizio XVIII secolo

 

 

 


L`arte del tappeto nasce in Cina all'interno di quella antica tradizione che già esisteva lungo tutta la Via della Seta, sviluppandosi soprattutto nelle regioni nord-occidentali che avevano per posizione geografica maggiori contatti con l'Asia Centrale. Purtroppo tutto ciò è noto solo attraverso pitture o fonti letterarie che risalgono all'epoca Han (206 a.C.-220 d.C.) e Tang (618-906). Nel 1279 l`avvento del più potente gruppo tribale dell'Asia Centrale, quello mongolo che invase la Cina sopraffacendo la dinastia dei Song settentrionali (960-1127) e meridionali (1128-1279) instaurando la dinastia Yuan (1279-1368), portò con sé l'amore ed il gusto per il tappeto in lana che i nuovi dominatori usavano comunemente nelle "oy" (tende).
Purtroppo però non si conoscono esemplari precedenti all'epoca Ming (1368-1644). Dei pochissimi sopravvissuti si sa con certezza che furono eseguiti per le sale dei palazzi della città proibita a Pechino. Solo con l'avvento della dinastia Qing (1644-1912) il tappeto oltre che a corte si diffuse anche la nobiltà. La prima testimonianza a proposito ci viene data dal gesuita padre Gerbillion che giunse al seguito del grande imperatore Kangxi nel 1696 a Ningxia nella provincia di Shensi dove vennero loro mostrati tappeti il cui apprezzamento da parte dell'imperatore e del suo seguito diede vita ad nuova ed esigente committenza. La corte dovette da questo momento considerarli di alto prestigio tanto che i nobili, come già era avvenuto due secoli prima in Europa si facevano ritrarre nei dipinti ufficiali seduti su sedie o troni posti sopra tappeti minuziosamente illustrati.
Oltre all'aristocrazia, un grande numero di esemplari veniva commissionato dai monasteri lamaisti del Tibet, della Mongolia e di altre regioni cinesi. In questo caso erano usati non tanto per il pavimento ma piuttosto come sedili dei troni dei lama o a copertura delle colonne nelle grandi sale destinate alla riunione e alle preghiere dei monaci. Di dimensioni allungate avevano come principale motivo decorativo del campo un grande drago il cui corpo lungo e sinuoso diviso in segmenti, si attorcigliava perfettamente attorno alla colonna. Non esistono di conseguenza le bordure laterali e la testata inferiore è spesso caratterizzata dalla rappresentazione simbolica di acqua e di nuvole dalle quali si erge la Montagna Sacra. Spesso compaiono simboli buddhisti o scritte augurali in tibetano.
Nella produzione di Ningxia, stilisticamente vicina all`arte di corte, si possono individuare alcuni elementi chiave per datarli ad un'epoca compresa tra il XVIII e il XIX secolo. Gli esemplari anteriori all'inizio dell'ottocento posseggono in genere una fascia perimetrale marrone solitamente corrosa a causa delle tinture usate per ottenere quel colore, in quelli più tardi questa fascia è blu scuro. Cromaticamente sono favoriti per il fondo toni caldi e chiari, mentre i motivi decorativi sono per lo più risolti in blu, giallo e bianco.
Stilisticamente presentano disegni severi ed eleganti spesso formati da elementi floreali ripetuti per tutto il campo. Una certa austerità che caratterizza gli esemplari di buona epoca, lascerà via via il posto ad una composizione più affastellata e a disegni barocchi ed eccessivamente realistici. Tipica è l'annodatura larga, la lana soffice e una consistenza floscia, che tende notevolmente ad irrigidirsi nelle epoche successive. In contrasto con i tappeti islamici dove ì disegni si intrecciano in una complessa e vorticosa composizione, quelli cinesi hanno motivi decorativi che risaltano isolati sulla superficie quasi vi fossero applicati sopra.
Questa caratteristica è dovuta ad una visione filosofica nella quale ogni cosa ha il proprio posto all`interno di una sfera gerarchica dove tutto è organizzato secondo regole estetiche, religiose e sociali universali. Tipico inoltre il connubio tra il geometrismo delle grate del campo e altri elementi ornamentali affiancati da disegni curvilinei fortemente naturalistici. Va sottolineato come i motivi decorativi scelti rivelino un particolare linguaggio simbolico e appartengano ad un'iconografia ornamentale comune a tutte le arti decorative, dai tessuti alle lacche, dalle porcellane ai bronzi, ai mobili, ai cloisonnè e cosi via. Pochi erano meramente decorativi, ma fungevano da vocabolario visivo e al pari di un linguaggio possedevano una grammatica ed una sintassi che meglio esprimevano le idee e i sentimenti della civiltà cinese. L'antica tradizione simbolica è rimasta al contrario di altre produzioni immutata attraverso i secoli, cristallizzandosi in una serie di simboli generalmente naturalistici e solo raramente astratti raggruppabili in cinque categorie.
La prima comprende fiori, piante, animali, acqua, montagne e nuvole collegabili all'ambiente naturale della Cina. Un cospicuo gruppo di motivi si rifà alla mitologia e alle diverse dottrine religiose e filosofiche: il taoismo, il confucianesimo e il buddhismo vajrayana; tra questi vi era la rappresentazione di animali fantastici, di emblemi di varie divinità oltre agli elementi della complessa cosmogonia cinese. Altri disegni rivestiti di un significato sociale formano un terzo gruppo che includeva simboli di ricchezza, di gerarchia nobiliare e insegne militari. Un quarto gruppo comprendeva animali oppure oggetti scelti per la loro similitudine fonetica con concetti astratti la cui rappresentazione è impossibile. Ne è un esempio il concetto di felicità (in cinese fu) che viene rappresentato dal pipistrello in cinese "bianfu". Un quinto gruppo infine è caratterizzato da un esiguo numero di ideogrammi e disegni astratti.
Vale la pena di sottolineare l`importanza di alcuni tra i simboli più ricorrenti nell'iconografia cinese. Primo tra tutti il drago (long) comparso per la prima volta nella stilizzazione dei taotie nei bronzi arcaici di epoca Shang (1400 a.C.) e che divenne simbolo dell'imperatore da quando nel 206 a.C. l'imperatore Dacou decretò l`origine divina della monarchia. A livello religioso rappresenta inoltre le forze che dominano il mondo, ed è, sia per buddhisti, sia per i taoisti, il simbolo dell'autorità spirituale. Al contrario della nostra mitologia si tratta di una creatura benefica il cui corpo è composto da nove differenti animali. La testa del cammello, le corna del cervo, gli occhi del coniglio, le orecchie della mucca. il collo del serpente, la pancia della rana, le scaglie della carpa, gli artigli del falco e l`impronta della tigre. Il suo respiro è come una nuvola che si trasforma in acqua o in fuoco.
La fenice (fenghuang) è in un certo senso la controparte del drago al quale viene spesso associata, perché simbolica dell'imperatrice. La sua presenza porta pace, prosperità e felicità. Le due fenici sono simboliche del Tutto: una rappresenta il principio maschile (feng), l'altra quello femminile (huang). Possiede tutto ciò che di bello hanno gli uccelli, è un incrocio tra un fagiano e un pavone dagli occhi allungati, le piume di cinque colori sono denominate secondo le virtù cardinali. Compare solo quando nel mondo prevale la ragione, ed è il più delle volte raffigurata in volo con le ali spiegate.
Infine il loto, il fiore sacro per eccellenza dei buddhisti, simbolo della purezza e della perfezione perché, pur nascendo dalle acque fangose, non ne viene contaminato. Quando viene raffigurato come un bocciolo indica il germe iniziale, è la sede del monte Meru, l'axis mundi buddhista che simboleggia il punto di collegamento tra il livello terrestre e quello divino. I suoi canonici otto petali rappresentano gli otto sentieri della via buddhista e sono allo stesso tempo le otto direzioni dello spazio legate all'armonia cosmica.

- Addendum personale: tra le figure simboliche più ricorrente sono da aggiungersi: i "cani di Fo", ovvero i cani di Buddha con testa di leone su un corpo di cane, rappresentanti i guardiani dei luoghi sacri e delle abitazioni in genere, il "qilin", animale mitologico dal corpo ricoperto da scaglie di drago spessp circondato da lingue di fuoco, simbolo di longevità e felicità, le "cento antichità", che rappresentavano oggetti rilevanti per il loro valore estetico e simbolico, significsnti la continuità con la tradizione e il legame col passato, e, infine, l'ideogramma "shou", simbolo di longevità.-
Anche la policromia ha strette connessioni con il mondo religioso, e si limita sostanzialmente al giallo o al blu nelle loro varie sfumature. I colori sono emblematici di concetti, stagioni, stati d'animo, virtù, rango, autorità e cosi via. Il blu viene in genere usato per delineare i motivi decorativi più importanti, per il campo compare infatti solo negli esemplari più tardi, in quelli antichi è il giallo il colore predominante. Questa scelta è legata ad un concetto fondamentale del taoismo che si basa sul dualismo negativo-positivo dello ying e yang. Questa dualità che esprime l'unita della Terra e del Paradiso è rappresentata fin da tempi remoti dalla combinazione di due colori: il rosso o il giallo per la Terra ying, il verde o il blu per il Paradiso yang. Si sente che la forza espressiva di questo patrimonio decorativo è il frutto di secoli di storia e di convinzioni ben radicate, ed è molto lontano da quell'immagine leziosa e ridondante che la Cina ha dato di sé quando ha voluto guardare ad occidente e non al proprio passato. (Galleria Eskenazi, 1995)

 

 

 

 

 

Prima metà XVIII secolo

 

 

 

 

 

Prima metà XVIII secolo

 

 

 

 

 

Metà XVIII secolo

 

 

 

 

 

Metà XVIII secolo

 

 

 

 

 

XVIII secolo

 

 

 

 

 

XVIII secolo

 

 

 

 

 

Seconda metà XVIII secolo

 

 

 

 

 

Fine XVIII secolo

 

 

 

 

 

Fine XVIII secolo

 

 

 

 

 

Fine XVIII secolo

 

 

 

 

 

Inizi XIX secolo

 

 

 

 

 

Fine XVII-XVIII secolo

 

 

 

 

 

XVII secolo

 

 

 

 

 

 

Il drago è una delle figure simboliche fantastiche più frequenti, e tra le più ricche di significato della tradizione cinese. Dalle terrecotte neolitiche, dai bronzi arcaici e dalle giade dell'epoca Shang (XVI-XI a.C.) fino ai ricami delle vesti dei mandarini dell'inizio del nostro secolo, questo tema è stato riprodotto con costanza instancabile ed evidenza continua; si trova sulle ceramiche, le lacche, gli abiti da cerimonia, le balaustre delle gradinate, le grandi pareti-schermo di ceramica policroma, lo si vede sui soffitti dei teatri, sui muri di recinzione dei giardini, ondeggiante, sui cloisonné, su disegni a inchiostro, sulla prua delle imbarcazioni, arrotolato intorno alle colonne all'entrata e sulle tende degli altari dei templi taoisti.
In occasione delle festività, in città la gente del popolo si diverte a nascondersi sotto a lunghi draghi fatti a bruco, di carta dipinta, che spaventano i bambini. In breve, il drago è onnipresente ed è pane integrante della vita quotidiana cinese.
Una creature benefica. Innanzitutto è caratterizzato dal suo aspetto soprannaturale, ibrido e composito. Di fatto nel corso di tre millenni il suo aspetto talvolta è variato, ma poco. Il drago più comune (detto "lungo"), prende a prestito le proprie caratteristiche da veri animali, nove, si diceva: la testa al cammello, le corna al cervo, gli occhi al coniglio (o al gamberetto, secondo altri), le orecchie alla mucca, il corpo alla lucertola, il ventre alla rana, le scaglie alla carpa, le zampe o le palme alla tigre, gli artigli all'aquila. Accade di rado che sia dotato d'ali (di pipistrello, in tal caso) e poteva essere di vari colori. Si credeva che fosse sordo e si nutrisse di carne di rondine.
Infine, elemento importante per il nostro approccio: diversamente da quanto accadeva nell'occidente medievale, in cui rappresentava l'incarnazione del male e delle forze maligne, al contrario, in Cina, il drago è una creature benefica e di buon augurio. Annunciava la pioggia e distribuiva fertilità. Aveva il potere della metamorfosi, il dono di rendersi, a piacimento, visibile o invisibile, e le sue apparizioni in cielo -sempre folgoranti- erano accolte come presagi di messi abbondanti, garanzie di future ricchezze. Si riteneva che i draghi potessero nascondersi e annidarsi ovunque, nei cieli, in acqua, sulla terra e sottoterra.
D'altronde, negli ultimi secoli, il drago venue anche associato al potere imperiale: divenne "l'animale emblematico dell'imperatore", detto "Figlio del Cielo", ma anche "Volto di Drago". In questo caso il nostro animale soprannaturale simboleggiava la funzione, che spettava all'imperatore, di assicurare i ritmi stagionali e lo scorrere armonioso della vita. L'Imperatore era garante dell'ordine e della prosperità dell'universo. Al collo dei draghi era spesso rappresentata una perla appesa, che ricordava il fulgore e la perfezione delle parole dell'imperatore, la precisione del suo pensiero e l'assennatezza degli ordini del sovrano.
Così, in Cina, nonostante il suo aspetto fantastico, il drago non ha mai assunto quelle caratteristiche paurose e bellicose che gli conferirono i nostri artisti, opponendolo a San Giorgio o a San Michele, per esempio. Al contrario, in Cina lo vediamo spesso bonario, che gioca con un compagno a rincorrere una perla infiammata, il "rubino magico", una specie di pallina irta di una voluta, che si riteneva richiamasse la folgore e il rombo del tuono. Per altri, questa "perla lucente", spesso rossa, rappresenterebbe la luna, o ancore il sole, o perfino l'uovo cosmico, che si ritiene contenga tutta l'energia umana condensata. Di fatto, la voluta raffigurata su questa palla, riproduce il segno figurativo del tuono nella scrittura arcaica. Ed è indiscutibile che il drago fosse del resto strettamente connesso alla pioggia, all'acqua e alle nuvole. Di natura essenzialmente acquatica, il drago compariva regolarmente nel mezzo di nuvole o di flutti, e se spesso si contorce con veemenza, è più per manifestare la propria forza, foga e vitalità, che per esprimere aggressività o furore. In Cina veniva percepito come un animale bonario e giocherellone. Nelle raffigurazioni dei combattimenti tra draghi, questi non si mordono e non si dilaniano mai come si può invece vedere in Iran, nei manoscritti o sulle ceramiche. In Cina la loro fugace apparizione annunciava la pioggia o qualche felice avvenimento politico, per esempio la nascita di un futuro grande imperatore.
II drago e la pioggia. La maggior parte dei cinesi credeva all'esistenza di queste creature e, ancora all'inizio del nostro secolo, in occasione di un'inchiesta, si è scoperto che quattro persone su cinque condividevano fermamente tale convinzione. Si ricorda che all'inizio del secolo scorso molti contadini si opposero alla costruzione delle vie ferrate, con il pretesto che i chiodi e le traversine indisponevano i draghi che vivevano nelle viscere della terra. Per loro, i draghi incarnavano le vene dell'energia cosmica percettibile, manifestatasi sotto forma di catene e di rilievi montani. Questi lavori, questi chiodi e queste rotaie, diceva la gente di campagna, importunano i draghi ferendo loro la spina dorsale.
Di fatto, in Cina, ognuno, a seconda della posizione sociale e del grado di istruzione, aveva il proprio modo di percepire o di interpretare i draghi. Per l'uomo comune, della strada o dei campi, il drago era quindi una creatura benevola e di buon augurio, che annunciava la pioggia e la fertilità, e inoltre era l'emblema dell'imperatore. La sua natura yang, maschile, lo contrapponeva allo yin, di natura femminile e quindi alla fenice, l'emblema dell'imperatrice. Si spiega perché questa due animali emblematici molto spesso siano stati associati e riprodotti insieme.
Ma per gli adepti della setta buddistica contemplativa Chan (o Zen in Giappone), il drago rappresentava infinitamente di più. Simboleggiava la visione fugace, istantanea, evanescente e illusoria della Verità, ed era quindi equiparato a una manifestazione cosmica. D'altra parte, per i taoisti il drago era il Tao stesso, incarnato, cioè la Via, la forza onnipresente che si rivela a noi in un baleno per svanire immediatamente. Perché su questo punto tutti i cinesi sono d'accordo: un drago si mostra soltanto in modo fugace, in una frazione di secondo e soltanto parzialmente; non lo si coglie mai nella sua interezza.
Animale fantastico, il drago (di natura yang) abitualmente vive nascosto negli abissi mari, nelle viscere della terra o nelle nubi vaganti (di natura yin). Simboleggia quindi lo slancio spirituale, la potenza divina. Per cui, nel campo dell'arte, si hanno rappresentazioni nervose, gonfie di energia. Come se fossero colti da convulsioni, i draghi torcono e inarcano i loro corpi muscolosi. Nell'arte della Corte imperiale, il drago riveste un aspetto maestoso, brutale e temibile al tempo stesso. Deve esprimere la dignità del potere imperiale.
Artisti e draghi. Questa intensità di vita, questa forza intensa non potevano fare a meno di affascinare gli artisti, e in particolare quelli che usano l'inchiostro e il pennello, gli specialisti del disegno a inchiostro monocromatico. Dal III secolo, Cao Buxing era stato il primo pittore di talento a specializzarsi in draghi, ma il più grande di tutti fu indiscutibilmente Chen Rong, attivo dal 1235 al 1260. I suoi straordinari Nove Draghi, dipinti (nel 1244) a inchiostro, su carta, oggi al museo di Boston, lasciano un'impressione profonda. Non si dimentica facilmente questa visione fantastica, gli animali unghiuti, dalla vitalità sorprendente, che si arrotolano e scompaiono parzialmente negli squarci delle nuvole notturne. Sembra che Chen Rong dipingesse in stato d'ebbrezza e si servisse, a mò di pennello, del suo berretto intinto nell'inchiostro; poi terminava i dettagli con il pennello. La sua opera è d'ispirazione nettamente taoista e, di fatto, ritroviamo spesso dei draghi nelle evocazioni del Paradiso taoista, in cui questa servono da cavalcature agli Immortali che viaggiano tra le nuvole (nuvole che nella maggior parte dei casi sono rappresentate da viticci).
Secondo la tradizione, le raffigurazioni dei draghi a cinque artigli erano riservate all'imperatore (per i suoi abiti, il palazzo, il vasellame, il mobilio, ecc.). I principi di quarto e quinto rango avevano diritto soltanto a draghi con quattro artigli; agli altri restavano i draghi con appena tre artigli! Ma questa regola tardiva non è sempre rispettata e ha subito varie modifiche.
Vengono chiamati draghi Kui i primi draghi raffigurati sui bronzi arcaici, le giade e la ceramica bianca della dinastia Shang. Da quest'epoca (secondo millennio a.C.), sono associati ai riti "di invocazione della pioggia". L'immagine del drago viene allora ravvicinata al tamburo, che effettivamente serviva a chiamare la pioggia; si pensava che per magia imitatoria il fulmine prolungasse il tuono del tamburo. Quindi, l'alligatore cinese (Alligator sinensis), attualmente in via di estinzione, e che vive in caverne-tane nelle tre province del Basso-Yangtse (Jiangsu, Zheijiang e Anhui), probabilmente è servito da modello ai primi artisti. Lungo circa due metri, questo animale sverna da ottobre ad aprile per ricomparire in primavera, con il ritorno della vita attiva, della vegetazione e della fecondità. D'altronde la sua pelle veniva utilizzata per realizzare tamburi per il culto, che del resto ancor oggi sono detti "tamburi di Pioggia" nell'estremo sud della Cina e nelle attigue contrade montane (Laos, ecc.). Esiste quindi una sicura identità (in origine, almeno) tra il drago e l'alligatore.
ll drago in tutte le sue forme. Padroni della Pioggia, manifestazioni delle forze celesti, si credeva che i draghi lasciassero i propri rifugi terrestri (come l'alligatore!) o le profondità degli oceani, in aprile, per salire in cielo e da lì far cadere la pioggia tra i lampi e il fragore del tuono. Così annunciavano il risveglio della natura e delle sue energie. Poi, all'equinozio d'autunno, ridiscendevano sulla terra, sotto terra e negli abissi oscuri dei mari. La denominazione "long" era riservata al drago residente nei cieli, il più potente, quella "li" al drago (allora sprovvisto di corna) che si nascondeva nell'oceano, e quella "jiao" al drago dalla corazza di scaglie che aveva la tana nelle paludi o nelle grotte delle montagne.
Si credeva che la pioggia risultasse dal combattimento amoroso tra due draghi di sesso "opposto", e alcuni cinesi sensibili, un tempo, rifiutavano di uscire sotto la pioggia, per non essere testimoni indiscreti di questi trastulli fantastici. II combattimento amoroso è sopravissuto in forma di gare e di competizioni tra imbarcazioni-drago, in occasione della festa del 5° giorno del 5° mese lunare (Festa delle barche-drago, Duanwujie in cinese).
In occasione della festa delle Lanterne, il 15 della prima luna, grandi draghi a bruco, fatti di tela e di cartone, sotto i quali si nascondono portatori burleschi, serpeggiano nelle strade, in un grande tumulto di grida, risate, petardi, gong e ottoni. In questo caso simboleggia le forze sotterranee della germinazione primaverile, e quindi della fecondità. Nelle superstizioni popolari il drago ha svolto in ogni tempo un ruolo preponderante, come non si può fare a meno di constatare.
Così, per molto tempo, nel nord della Cina, i contadini sono stati incuriositi da strane ossa fossili che capitava loro di dissotterrare spesso e che, con la massima naturalezza, chiamavano "ossa di drago". Di fatto questi resti fossilizzati di dinosauri del trias superiore, che hanno da 70 a 225 milioni di anni, richiamano decisamente quelli degli attuali coccodrilli... Con l'unica differenza che il Phobosuchus del cretaceo superiore, per esempio, probabilmente raggiungeva i dodici metri di lunghezza! Si capisce la perplessità dei contadini davanti a ossa di tali dimensioni, quando le dissotterravano. Le ammucchiavano coscienziosamente per farne medicine e polveri magiche.
Nelle leggende della mitologia antica, i draghi fungono da veicoli o da traino per le grandi divinità, per esempio il Padre d'Oriente e la Regina Madre d'Occidente. Huangdi, l'Imperatore Giallo, sovrano leggendario, avrebbe, per primo, realizzato un tamburo con la pelle di un drago. Questi tamburi dominavano il fulmine, e Pangu, il nano cornuto, colui che metteva ordine nel caos, che è rappresentato sulle mura di Dunhuang mentre è intento a fare il giocoliere in un cerchio di tamburi. Dunque simboleggia anche il tuono! Durante il periodo della "società primitiva", il drago fu il simbolo delle forze soprannaturali.
Con il passare dei secoli, il drago nel Medio Evo assume una forma sempre più fantastica, e l'imperatore si impadronisce della sua immagine, facendone un suo antenato. Nella società feudale, divenne simbolo dell'autorità assoluta dell'imperatore. Lo si vedrà raffigurato su lingotti d'argento che servivano da moneta, e sul trono imperiale, chiamato precisamente "Trono del Drago". Dal XI secolo, come si può osservare su alcuni affreschi di Dunhuang, viene inserito nei grandi dischi e quadri posti sul petto delle vesti, ricamato sugli abiti e sulle cappe di importantissimi personaggi, e sui flabelli e parasoli portati dai loro fedeli servitori.
Il drago a tre artigli era già visibile sulle vesti Tang (618-907), e diventa un elemento costante durante la dinastia Yuan (1279-1367). Alcune leggi suntuarie, severe, promulgate nel XIV secolo, autorizzavano i nobili e gli alti funzionari a portare una veste decorata di draghi ricamati, riservando ai sovrani e a certi principi i draghi con cinque artigli. A partire dai Ming (1368-1644) e durante la dinastia Qing (1644-1911) soprattutto, queste vesti semi ufficiali, di gala, dette esattamente "vesti-drago", divennero sempre più frequenti.
I Nove Draghi. Abbiamo accennato al tema dei Nove Draghi a proposito dei disegni a inchiostro di Chen Rong. Lo si ritrova su una serie di grandi muri schermo, in ceramica policroma smaltata, conservati a Pechino (nella città proibita e nel Parco Beihai) e a Datong. Su una lunga fascia che si distende in larghezza, nove draghi fantastici, disposti a fregio e di colori diversi, si contorcono in mezzo a onde e nubi. Una credenza popolare in effetti distingueva nove specie diverse di draghi (con nomi precisi). Pulao viene sempre raffigurato sulle campane e sui gong; Qiuniu, ama la musica di tutti i generi; Bixi e Baxia sono raffigurati, il primo in cima alle steli -poiché era appassionato di letteratura- e alle mensole, il secondo alla base delle stesse, capace di sopportare grandi pesi. In quest'ultimo caso accade che alla testa della tartaruga che porta sul dorso la pesante stele, vengono conferiti i lineamenti di un drago; Chaofeng appare alle estremità scolpite delle travi dei tempi per la sua inclinazione al pericolo; Chiwen orna le balaustre dei ponti per la sua passione per l'acqua; Suanmi scolpito sull trono di Buddha per la sua propensione al riposo; Yazi è raffigurato sull'elsa delle spade; e infine Bi'an si allunga sull'architrave e sulle porte delle prigioni.
In breve, questo essere mitico e fantastico, tuttavia familiare, e che a suo piacimento poteva ridursi alle dimensioni di un lombrico o, viceversa, assumere dimensioni gigantesche, in Cina ha finito per acquistare una autenticità sorprendente, fino al punto di convincere ognuno della sua "reale" esistenza. Ma lungi dall'essere una creatura inquietante e apocalittica, il drago in Cina ha sempre suscitato la simpatia di tutti e, al tempo della dinastia Mancese, ognuno fremeva per poter essere ammesso nell'ordine del Doppio Drago, e portare sul petto una medaglia su cui erano raffigurate due di queste creature benefiche affrontate. Il drago, essendo di buon augurio, poteva portare soltanto felicità, ricchezza e prosperità. Si capisce perciò l'enorme e duraturo successo di questo tema che si mantiene vivo da più di trenta secoli, un tema che agli occhi degli occidentali potrà risultare leggermente inquietante, ma che al contrario è benefico e gradevole per gli abitanti dell'Impero celeste. (Centrooriente, 1999-2012)

 

 

 

 

 

Inizio XIX secolo

 

 

 

 

 

Inizio XIX secolo

 

 

 

 

 

Inizio XIX secolo

 

 

 

 


Inizio XIX secolo

 

 

 

 

 

Prima metà XIX secolo

 

 

 

 

 

XIX secolo

 

 

 

 


XIX secolo

 

 

 

 


Seconda metà XIX secolo

 

 

 

 

 

Seconda metà XIX secolo

 

 

 

 

 

Seconda metà XIX secolo

 

 

 

 

 

Fine XIX secolo

 

 

 

 

 

Fine XIX secolo

 

 

 

 

 

XIX secolo

 

 

 

 

 

Metà XVIII secolo

 

 

 

 

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