Febrar 2013. Niger delta crimen.

 

 

 


...Quando piove su Ebubu, i bambini si ammalano.
E in autunno, nella regione del delta del Niger, piove continuamente. ..
"Soffrono di ogni sorta di allergie cutanee",
spiega il medico che da tredici anni lavora in questo misero villaggio ..:
"io posso consolarli, ma non posso guarirli".
.. L'armadio dei medicinali è praticamente vuoto,
perfino un tubetto di pomata per la pelle è una rarità.
Così i bambini si grattano a sangue le chiazze di eczema che prudono.
"Poi le piaghe s'infettano e il bambino è morto".


Der Spiegel

 

 

 

 

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 "El Mestée del Mes" è dedicato alle popolazioni del delta del Niger, al loro territorio, alla loro cultura, che da oltre mezzo secolo subiscono una indicibile violenza dalle multinazionali del petrolio(Chevron Oil Nigeria Plc, Shell Petroleum Development Company Spdc, Elf Petroleum Nigeria Ltd, Exxon Mobil Corporation, Agip Nigeria Plc e Total Nigeria Plc), da governi corrotti strumento delle stesse multinazionali, da un silenzio connivente del "primo mondo", salvo sporadiche iniziative di denuncia delle organizzazioni di tutela ambientale, dei diritti dell'uomo, dell'informazione democratica.
Nel delta vivono circa 31 milioni di uomini, oltre 20 gruppi etnici, su un territorio di circa 70.000 kmq.(pari a circa Lombardia, Piemonte, Veneto), tra i quali immense foreste di mangrovie(7.000 kmq., la più importante concentrazione del globo) in un ecosistema unico al mondo. L'attività estrattiva del petrolio ha determinato una distruzione dell'ambiente, del tradizionale tessuto sociale, della economia primaria e di sussistenza delle popolazioni, un inquinamento talmente grave del suolo e del sottosuolo che (rapporto ONU del 2011) ha reso impossibile ogni bonifica futura, un inquinamento atmosferico di dimensioni epocali, una sistematica violazione dei diritti dell'uomo, guerre, massacri di milioni di uomini, donne e bambini, interi villaggi messi a ferro e fuoco, espropriazione indiscriminata di terreni. L'aspettativa di vita di chi vive nell'area, il 60% delle quali sopravvive con attività direttamente legate agli ecosistemi, è peggiorata nelle ultime due generazioni e arriva a poco più di 40 anni, contro i 47 del resto della Nigeria(conferenza stampa Amici della Terra, 2010).
Essendo il territorio privo di strutture sanitarie e di monitoraggio della salute, le devastanti conseguenze diverranno sempre più pesanti nei prossimi decenni in relazione al degrado ambientale e alla povertà assoluta. Non esistono dati epidemiologici che attestino l'incidenza di tali condizioni su patologie di ogni genere, sull'incremento di mortalità infantile riconducibile, ma è da ritenersi che l'incidenza sia agghiacciante. Ogni anno, per oltre mezzo secolo, nel delta sarebbero state versate quasi 40.000 tonnellate di greggio. E' come se ogni anno una petroliera tipo Exxon Valdez fosse naufragata, e continua a naufragare, nel delta del fiume Niger, nell'indifferenza totale della comunità internazionale. Per testimoniare crimine ambientale, genocidio, ribellione e lotta armata, tre documenti filmati del 2007, del 2009 e del 2011, fotografie, alcune delle quali opera di Akintunde Akinleye, stralci di articoli, un reportage di Stefano Liberti(2007) in occasione del rapimento di tecnici AGIP, un Comunicato del MEND(2012).
Consiglio come saggistica la lettura del libro di Daniele Pepino, edito dal Centro di Documentazione Porfido di Torino: "Delta in rivolta. Suggerimenti da una insurrezione asimmetrica", 2009, e come narrativa il romanzo di Kai Zen, edito da Edizioni Ambiente: "Delta Blues", 2010.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 Biafra, 1967-1970: due milioni di morti.

 
Nel 1966 le popolazioni Igbo, nel sud-est del Paese, avevano tentato un colpo di stato per liberarsi dal controllo degli Hausa-Fulani; sei mesi dopo, un contro-golpe aveva insediato il generale Gowon, e gli attacchi agli Igbo da parte delle popolazioni del nord erano stati senza precedenti, provocando oltre 50.000 morti. Il governatore della Regione orientale, che comprendeva il delta con la maggior parte delle riserve di petrolio, non accettò l'autorità di Gowon e nel maggio del 1967 proclamò la nascita della Repubblica Indipendente del Biafra. Questa dichiarazione di indipendenza, dietro cui stava principalmente l'interesse per gli introiti dell'oro nero, scatenò la reazione del governo, che, agli ordini del generale Gowon, dichiarò guerra al nuovo stato del Biafra, dando inizio a una delle più sanguinose guerre civili della storia, che durerà tre anni e provocherà oltre due milioni di morti.
"Non fu una guerra per preservare l'unità e l'interezza del paese", ricordano due noti attivisti Ijaw, "quanto invece una mossa disperata per riconquistare i giacimenti petroliferi del delta del Noger che erano passati sotto il Biafra". Sullo sfondo le rivalità neanche troppo segrete tra la Francia e l'Italia da un lato(e gli interessi delle loro compagnie petrolifere di bandiera), che appoggiavano il Biafra, e la Gran Bretagna dall'altro, che supportava la Nigeria: "E' d'impostanza nazionale proteggere l'attività della Shell-BP in Nigeria", scriveva senza peli sulla lingua il primo ministro inglese nel 1969, "perché ricopre un ruolo essenziale per la nostra economia e per la nostra bilancia dei pagamenti. Chiedo quindi che venga fatto tutto il possibile per risolvere questa emergenza e aiutare la Shell-BP e le autorità federali nigeriane a proteggere il nostro petrolio".
E tutto il possibile fu fatto: fu un massacro senza esclusione di colpi, con bombardamenti aerei, stragi di civili inermi uccisi dalle bombe e dalla fame, utilizzo di mercenari da parte di potenze straniere, che si concluse nel 1970, con la resa del Biafra e la sua riannessione tra gli Stati federali. E oltre due milioni di morti. (Daniele Pepino, 2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 
 

 
 
 "Cinque anni fa(1990), la gente di Umuechem era arrivata al limite: diverse centinaia di uomini e di donne bloccarono l'accesso a un campo petrolifero chiedendo ai dirigenti della Shell di prendere provvedimenti concreti. Ma questi ultimi non erano disposti al dialogo. Intervenne un commando della polizia nigeriana: tre giovani furono uccisi, poi la folla inferocita linciò uno dei poliziotti. L'indomani all'alba, la Special Task Force dello stato di River piombò a Umuechem con automezzi blindati. Il villaggio fu saccheggiato, decine di capanne furono incendiate o fatte saltare in aria con l'esplosivo. I soldati presero l'uomo più vecchio del villaggio e i suoi figli, li trascinarono fuori dalla capanna, li cosparsero di benzina e gli dettero fuoco. Secondo alcuni testimoni, i militari, armati di mitragliatrici pesanti, sparavano su tutto quello che si muoveva. "Non più di qualche settimana fa, abbiamo trovato, per caso, degli scheletri", riferisce Igbunefu, ma non riesce a dire di più. I cadaveri, fra cui quello di suo figlio, trasportati dalla corrente del fiume, erano rimasti impigliati al pilone di un ponte, a due chilometri di distanza dal villaggio. Per le unità speciali, il massacro di Umuechem fu l'inizio di una serie di azioni destinate a terrorizzare la popolazione. Chiunque dia fastidio alle multinazionali del petrolio -è bene che gli abitanti del delta del Niger lo sappiano- sarà brutalmente ricondotto alla ragione o pagherà con la vita.(Der Spiegel, 1995)
La Ong inglese Platform, è entrata in possesso della documentazione ufficiale della multinazionale, e ha dimostrato come fra il 2007 e il 2009 la Shell abbia speso ben 383 milioni di dollari per finanziare forze governative e vari gruppi armati attivi nella regione, tra cui i famigerati reparti speciali della polizia denominati "Kill & go".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il capitale, di varia foggia vestito,
ha sempre e dovunque una sola legge:
il vile e indiscriminato sfruttamento delle risorse,
la politica di rapina con ogni mezzo,
l'asservimento dell'uomo, della dignità,
della salute, dei diritti, al profitto.
I limiti eventuali a questo modus operandi del capitale,
non sono mai dettati da un'etica, geneticamente inesistente,
ma da un contropotere più o meno forte istituzionalizzato,
generato da forme di opposizione, ribellione, lotta armata.
Come citano correttamente Marx e Engels:
"La profonda ipocrisia,
l'intrinseca barbarie della civiltà borghese ci stanno dinanzi senza veli,
non appena dalle grandi metropoli,
dove esse prendono forme rispettabili,
volgiamo gli occhi alle colonie, dove vanno in giro ignude".
 
 
 

 


Oil for nothing. 2011.

Regia Luca Tommasini. Prodotto dalla CRBM(Campagna per la Riforma della Banca Mondiale) 
 
 

 


L'impatto
 
L'impatto sull'ambiente.

1. Inquinamento del bacino idrico del Delta del Niger e conseguente perdita di biodiversità: 36 mila km² di foresta di mangrovie, corsi d'acqua e lagune sono invasi da una melma nera e oleosa, dovuta in gran parte a fuoriuscite di petrolio dagli impianti di estrazione. Per rifornirsi di acqua potabile, le popolazioni locali sono talvolta costrette a scavare nel sottosuolo fino a 50 metri di profondità, con serie ripercussioni sulla stabilità del terreno e ponendo la zona a rischio di frane. L'estrazione di petrolio provoca un abbassamento notevole del livello delle falde sotterranee, creando problemi di reperibilità dell'acqua. Oltre alla progressiva riduzione dell'acqua potabile, è a rischio la sopravvivenza di alcune specie animali già in pericolo di estinzione, tra cui l'elefante del Delta e la scimmia bianca, gli ippopotami da fiume e i coccodrilli.
2. Deforestazione di vaste aree per la costruzione delle infrastrutture dell'attività estrattiva: la foresta, che occupa circa 10 milioni di ettari, rappresenta circa il 10% del territorio nigeriano e, oltre a essere zona di riproduzione della biodiversità animale e vegetale, funge da spartiacque e da stabilizzatore del regime idrologico. Dal 1995 al 2011, l'area dedicata alla produzione di materiali tra cui legno, fibre e medicine naturali, si è ridotta notevolmente, passando da 5,576 ettari a 2,645. Secondo il rapporto della FAO Global Forest Resources Assessment 2010 sarebbero particolarmente a rischio le foreste di mangrovie.
3. Per facilitare la costruzione di strade il corso di numerosi fiumi e torrenti è stato deviato, causando una drastica riduzione della fauna acquatica, parte fondamentale del sostentamento delle popolazioni rurali.
4. Riduzione della fertilità dei terreni coltivabili in gran parte ricoperti di sedimenti di petrolio.
5. Emissioni di tossine inquinanti, metano e alti livelli di CO2: il gas naturale derivato dall'estrazione del greggio, viene bruciato a cielo aperto, attraverso la pratica del gas flaring, altamente tossica e con conseguenze devastanti sull'ambiente e sull'uomo. Nel 1969 il governo nigeriano ha imposto alle imprese petrolifere di porre fine all'utilizzo di tale pratica entro 5 anni. Il divieto è stato largamente ignorato e a tutt'oggi il gas flaring è praticato da tutte le compagnie che operano nei territori del Delta del Niger, generalmente 24ore su 24. La data d'imposizione del divieto viene costantemente posticipata dal governo centrale e le imprese multinazionali preferiscono pagare pene pecuniari piuttosto che porre fine a tale pratica. Le conseguenze sono devastanti per l'uomo e per l'ambiente poiché durante il procedimento di combustione, si disperdono nell'aria tossine inquinanti come il benzene, causa dell'aumento dell'incidenza di tumori e malattie respiratorie tra le popolazioni locali. Inoltre, livelli elevati di CO2 e di gas metano rilasciati nell'atmosfera hanno un impatto climatico globale. Secondo i dati della Banca Mondiale, in Nigeria i livelli di CO2 sarebbero passati dal 1980 al 2008 da 68,155 kt (chilo tonnellate) a 95,756 kt, senza un corrispettivo aumento delle emissioni pro-capite, passate da 0,9 tonnellate nel 1980 a 0,6 nel 2008.
6. Piogge acide: conseguenza diretta della pratica del gas flaring, la ricaduta sul suolo di particelle acide attraverso le precipitazioni, oltre a ridurre notevolmente la disponibilità di acqua piovana potabile e ad arrestare la crescita delle colture, mette a rischio diretto la salute delle comunità locali. Negli ultimi anni, infatti, numerose famiglie hanno sostituito i tetti delle abitazioni in zinco -considerati una buona protezione contro gli effetti delle deposizioni acide- con coperture di amianto, molto costose ed estremamente nocive per la salute. L'amianto è stato presentato alla popolazione come il miglior materiale per la protezione delle abitazioni, senza specificarne la pericolosità e rischi connessi al suo uso.


L'impatto socio-economico e culturale.
7. Dipendenza dall'acquisto del petrolio: nonostante le ingenti riserve di idrocarburi nel Paese, la Nigeria è affetta da una cronica scarsità di carburante. La ragione è da cercare nel fatto che le raffinerie nigeriane non funzionano. Il greggio viene quindi venduto ad agenti internazionali, che lo raffinano in Sudafrica, in altri paesi dell'Africa occidentale o in Europa per rivenderlo poi in Nigeria.
8. Perdita dell'attività di sussistenza: l'inquinamento delle falde acquifere e del terreno ha distrutto le coltivazioni agricole principali e ha compromesso la pesca.
9. Espropriazioni delle terre, migrazioni e conflitti intracomunitari: migliaia di ettari di terreno sono stati espropriati, dapprima per costruire le infrastrutture, poi per i recinti di sicurezza, infine per consentire il passaggio delle tubature degli oleodotti. La compensazione non viene quasi mai corrisposta o si concretizza nel pagamento di cifre ridicole. La distribuzione delle compensazioni, quando avviene, è causa di conflitto tra le comunità locali che spesso sfocia in rivalità etniche e in atti di discriminazione. Le espropriazioni hanno provocato l'aumento dei flussi migratori, internazionali e nazionali. Questi ultimi contribuiscono ulteriormente al riaccendersi di vecchie rivalità comunitarie esacerbate dalle condizioni economiche precarie. Diretta conseguenza dell'aumento dei flussi migratori è l'urbanizzazione della popolazione, spostatasi in massa verso le aree metropolitane dei più grandi centri urbani. Nella regione di Lagos, dal 1950 ad oggi, la percentuale di popolazione che vive in agglomerati urbani è passata dall'8% al 13,9%. Medesima tendenza per Abuja -capitale dello Stato Federale- in cui il tasso degli abitanti di aree metropolitane è aumentato, passando da 0,5% nel 1950 a 2,6% nel 2010. Secondo le stime delle Nazioni Unite, le cifre sarebbero in continuo aumento. In particolare, il tasso di crescita della popolazione è molto elevato (circa 7% annuo) ed in costante aumento: nel 1950 la città contava 288 mila abitanti, 8, 665 milioni nel 2000 e 10, 203 milioni nel 2011. Sempre secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2015 la popolazione dell'area urbana raggiungerà i 15 milioni, trasformando Lagos nell'undicesima città più popolata al mondo.
10. Deterioramento dello stato di salute fisica della popolazione: problemi respiratori, tosse con sangue, eruzioni cutanee e malattie della pelle, tumori, disturbi gastrointestinali, malnutrizione, sono disturbi diffusi in numerose comunità, in particolare tra le popolazioni dei villaggi vicini agli stabilimenti petroliferi.
11. Deterioramento dello stato di salute psicologica della popolazione: il progressivo inquinamento ambientale e la riduzione della biodiversità hanno provocato l'alterazione del tradizionale sistema di approvvigionamento delle comunità rurali, oggi spesso impossibilitate e vivere di pesca e agricoltura. Una conseguente perdita della struttura sociale e del ruolo dell'individuo è causa di frustrazioni, depressioni e violenze. Questo sradicamento tocca profondamente le donne, tradizionalmente incaricate di procurare le fonti di sostentamento tramite l'agricoltura e il commercio dei prodotti coltivati. Trovandosi nell'impossibilità di svolgere il loro ruolo tradizionale e avendo difficoltà a trovare lavori remunerativi esterni all'attività rurali, molto donne ricorrono -volontariamente o per costrizione- alla prostituzione come fonte di sostentamento del nucleo familiare.
12. Generalizzazione della violenza: le comunità rurali del Delta del Niger si sono mobilitate molte volte per dimostrare la loro opposizione alle politiche delle multinazionali del petrolio e per rivendicare i propri diritti alla vita, alla dignità e alla terra. Spesso le dimostrazioni sono state però soffocate nel sangue, rappresentando un ulteriore e tragico impatto delle attività estrattive portate avanti.
(Centro Documentazione Conflitti Ambientali CDCA, 2012)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 
 
 

 
Era il 1993 quando le ruspe arrivarono nella zona di Bomu, in Ogoniland, per espropriare altre terre e costruire l'ennesimo oleodotto. I contadini erano decisi a opporsi, resistendo pacificamente. Una contadina china a raccogliere ciò che restava del suo ultimo raccolto fu presa a fucilate dai soldati pagati dalla Willbros, società appaltatrice Shell. Gli Ogoni scesero a migliaia nei campi e nelle strade a difendere la loro terra, e, a questo punto, la loro stessa vita. La repressione fu brutale, con rappresaglie nei villaggi, torture e violenze di ogni tipo. Duemila persone vennero uccise, trentamila restarono senza casa. Ormai si era a un punto di non ritorno, un tentativo di genocidio. (Daniele Pepino, 2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 
 

 
 

 Port Harcourt è la capitale dello stato di Rivers, il centro nevralgico dell'industria degli idrocarburi. E' il fulcro dello sfruttamento di un giacimento immenso, più grande di quelli di USA e Messico messi insieme. Port Harcourt, nelle illusioni di molti, avrebbe dovuto scintillare, invece sta marcendo.
Le baraccopoli imperversano, chilometri di fango, lamiere, immondizia, moderni lazzaretti per l'umanità reietta, quella che non serve più, nemmeno da sfruttare, cumuli di rifiuti umani da amministrare. Nel cielo aleggia un fumo denso e irrespirabile. Alle porte della capitale incomincia a dipanarsi il labirinto di fiumi, rigagnoli e oleodotti a cielo aperto che attraversano una delle zone umide e paludose più grandi del mondo. E' uno scenario infernale. I villaggi sono mucchi di capanne di fango e baracche arrugginite aggrappati alle sponde dei corsi d'acqua. Non c'è luce elettrica né acqua potabile, non ci sono scuole né ospedali: Nelle strade polverose vagano i bambini, denutriti e seminudi, e gli adulti senza lavoro. Le reti per la pesca giacciono asciutte, e le canoe scavate nei tronchi abbandonate sulla riva. (Daniele Pepino, 2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 
 

 
 

 Sappiamo che una puntura sul naso
ci fa più male di un terremoto a distanza di chilometri
che uccide molta gente.
Sono convinto che la tutela dell'ambiente in Ogoniland
debba interessare più a me
che alla Shell International nei suoi lussuosi uffici
sulla riva del Tamigi a Londra.
Ma non posso accettare quelle sue arie di rispettabilità,
perché tutto quel lusso a Londra
è una condanna a morte per i bambini e la mia gente di Ogoniland.
 
 
Ken Saro-Wiwa
Leader Ogoni, scrittore, sostenitore della lotta non violenta.
Più volte arrestato, torturato, impiccato il 10 novembre 1995.
 
 
 
 

Isaac ricorda bene la prima volta che vide del pesce surgelato. Era la fine degli anni settanta, e lui aveva cinque anni. Un venditore ambulante creò un trambusto nella sua città, Akinima, quando si presentò con un cartone di ciò che chiamava "pesce ghiaccio". "non era mai arrivato del pesce da fuori", dice Isaac, oggi trasferitosi a Port Harcourt. "Non avevamo idea di cosa volesse dire pesce surgelato. Girava voce che lo conservassero all'obitorio".
Il pesce surgelato fu il segno premonitore dei cambiamenti che avrebbero sconvolto la comunità. "Quando ero bambino, mi bastava passeggiare sino al fiume o alle paludi con retino e canna da pesca per tornare con pesce a sufficienza per sfamare tutta la famiglia", racconta Isaac, "e di solito ne rimaneva anche da vendere e il ricavato ci permetteva di andare a scuola". Ma questa ricchezza non sarebbe sopravvissuta all'arrivo dello sviluppo. Le fuoriuscite dagli oleodotti e dai pozzi, insieme alla costruzione di strade e canali, hanno dissestato l'ecosistema delle paludi.
"I disastri ambientali avvengono in sordina; gli effetti si manifestano anni dopo", continua Isaac. "oggi non c'è una sola persona nella mia comunità che si possa definire un pescatore. Dipendiamo totalmente dal pesce surgelato". Per di più, sui banchi del mercato un trancio di corvina o di sgombro, quasi sempre importato, si vende a circa un dollaro, una spesa che la maggior parte degli abitanti non è in grado di sostenere. (Daniele Pepino, 2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 
 

 
 

 L'incontro coi guerriglieri del MEND

 
Fumi nauseabondi, bidonville di fango e lamiera, strade lacerate da buchi che sembrano crateri. Ma anche grandi complessi residenziali hi-tech; Land Rover nuove fiammanti; ville sontuose protette da guardiani armati sino ai denti: Questa è Port Harcourt, la capitale del petrolio nigeriano, il florido porto di pesca trasformato dallo sfruttamento del greggio in un agglomerato caotico e incerto, che sembra un parto della mente allucinatoria di Philip K.Dick.
A Port Harcourt manca spesso la luce; la benzina è razionata e costa più che a Lagos, anche se è da qui che proviene il petrolio che serve a raffinarla. Le emissioni di gas associate all'estrazione del greggio illuminano come torce infernali le giungle di mangrovie che si attorcigliano nel labirinto dei creeks, i mille rivoli dell'immenso fiume Niger. L'acqua è nera, scurissima, oleosa. Le baraccopoli si allungano sulle sue rive, prive di servizi igienici e di servizi tout court. A poca distanza, le grandi compagnie occidentali(l'olandese Shell, le statunitensi Exxon e Chevron, la francese Total, l'italiana Eni) hanno costruito e recintato le loro oasi di benessere. Inaccessibili agli estranei, ma incapaci di sottrarsi all'occhio penetrante di Google Earth, i loro complessi residenziali declinano un agio fuori misura: all'interno di quello della Shell c'è un campo da golf; in quasi tutti c'è una bella piscina in cui l'acqua è cambiata quotidianamente. I loro tecnici vivono all'interno di queste enclave di lusso, da cui di allontanano raramente, per timore di essere sequestrati dai vari movimenti ribelli spuntati nella regione come funghi.
Quando arrivai, nel gennaio 2007, a Port Harcourt, su indicazione dei guerriglieri del Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (MEND) che tenevano sequestrati tre tecnici dell'AGIP da due mesi e volevano farmeli incontrare, mi imbattei in questo paesaggio apocalittico: un traffico allucinante, rotto solo dalle sirene delle camionette di scorta dei lavoratori bianchi che si spostavano in città in convogli blindati; un cielo denso di fumo nero e code chilometriche di fronte alle stazioni di benzina.
Negli accordi presi per e mail, il leader guerrigliero Jomo Gbomo mi aveva detto di scrivergli non appena fossi arrivato in città, indicandogli il mio hotel e il numero della mia carta SIM nigeriana. Così feci. E mi misi in attesa. Passai tre giorno così, tra la mia stanza d'albergo che si trasformava in un forno crematorio ogni qualvolta saltava la luce (e accadeva spesso) e qualche giro sconclusionato in città. Mi muovevo in moto-taxi, dando indicazioni vaghe agli autisti. Quando all'inizio chiedevo di vedere il centro, mi scontravo con sguardi interrogativi e un po' sospettosi. Perché la città non ha un centro e, per di più, un bianco non usa muoversi così, senza la minima protezione. Poi gli autisti di moto-taxi impararono a conoscermi; si facevano la guerra per chi doveva caricarmi e si divertivano a portarmi in giro a casaccio, mostrandomi le varie parti di quella città senza capo né coda.
Fu la sera del terzo giorno che la chiamata arrivò: "Sono il tuo autista, tra un'ora sono lì". Un ragazzo basso e ben vestito si presentò alla porta dell'albergo a bordo di una Toyota Corolla. Disse di chiamarsi Anthony e non aggiunse altro. Poi mi passò il telefono: "Sono Gbomo". Il capo senza volto dei guerriglieri del Delta si materializzò dall'altra parte della linea in una voce profonda, quieta e posata al tempo stesso: "Ti porteranno in barca sul fiume e ti faranno incontrare i tuoi connazionali. Avrai tutto il tempo che vuoi per intervistarli. L'unica cosa che ti chiedo è di non riprendere i miei ragazzi a volto scoperto". Poi aggiunse un ultimo avvertimento: "Se ti dovessero rapire nei prossimi giorni, dì che sei un giornalista e fa il mio nome".
Nei mesi in cui avevo interagito per posta elettronica con il capo guerrigliero, mi ero fatto un'idea della sua personalità. Era un uomo istruito, con una indubbia conoscenza dei meccanismi della comunicazione. Sapeva come interagire con i media; quando fare un comunicato ad effetto che avrebbe guadagnato le prime pagine; sapeva come combattere la lotta di propaganda contro il governo nigeriano e l'ENI, che all'inizio volevano fare passare il MEND come un gruppo di banditi che facevano proclami politici ma in realtà volevano solo soldi. Fin dall'inizio del sequestro, il 7 dicembre 2006, avevo chiesto a Gbomo di farmi visitare il delta e farmi incontrare gli ostaggi. Lui mi aveva detto di sì, ma mi aveva intimato di attendere. "Potrai venire tra gennaio e febbraio":
Nelle settimane seguenti. non smisi di chiedere tanto in tanto conferma dell'impegno. Lui ogni volta mi dava la stessa risposta. "Tra gennaio e febbraio". Alla fine si mostrò un uomo di parola. "Da oggi in poi, puoi venire in ogni momento. Ti aspettiamo", mi scrisse il 25 gennaio del 2007.
Dieci giorni dopo ero lì, nel retro di una macchina dai vetri scuri a parlare con lui per telefono. Sentire la voce baritonale, il suo inglese perfetto (così diverso dal pidgin quasi incomprensibile che parlavano tutti in città), le sue spiegazioni dettagliate mi rassicurarono profondamente. Attaccai e seguii il mio accompagnatore.
Dopo alcuni minuti la macchina si ferma ai bordi di un dirupo. L'uomo robusto scende e apre la porta posteriore: Fa segno di seguirlo. Ci inoltriamo in un sentiero in terra battuta. La guida fa strada con la torcia: attraversiamo una grande bidonville, tra la gente incuriosita dalla presenza dell'oibo ("il bianco"). Le case sono affastellate le une sulle altre, i tetti di lamiera. Alcune persone dormono a terra, sul selciato. A tratti, nei vicoli più stretti, dobbiamo stare attenti a non calpestarle. Un lezzo mostruoso ricopre l'aria circostante: l'immondizia è tutt'uno con le case e le persone. I tetti in lamiera sprigionano calore, anche se è sera. L'umidità è ancora più insopportabile che nella "città normale". L'aria sembra attaccar tisi addossi, come un adesivo.
Arriviamo infine all'imbarcadero. "Togliti le scarpe e i calzini", intima l'uomo. Ci immergiamo nell'acqua fino ai polpacci. Intorno, una grande discarica. Il fondo melmoso indica che stiamo camminando su un letto di rifiuti. Nel buio, i piedi sgusciano su sacchi di plastica pieni di chissà che. "Attento alle buche", dice l'uomo. "Segui attentamente i miei passi". La guida non fornisce spiegazioni., ma è chiaro che tutto questo giro serve a non mostrare l'ospite bianco a occhi indiscreti, a non risvegliare i sospetti della polizia o dell'esercito. Jomo l'aveva detto prima della partenza: "L'incontro avverrà di notte". Al di là della melma e di una camminata di una cinquantina di metri che sembra interminabile, ci aspetta una speed-boat, con tanto di guidatore. I due si scambiano un saluto. Poi fanno un semplice cenno. Si sale e si parte.
Intorno, la luna quasi piena colora di una luce irreale le rive dell'imponente fiume Niger. L'acqua è quieta, si sentono solo gracidare animali non meglio identificati. Nel buio, il guidatore accende il motore e comincia a cavalcare le onde. La barca si impenna per la velocità. A tratti trema. Sinistri scricchiolii ogni tanto si alzano dallo scafo. Ma il guidatore sa il fatto suo: sembra conoscere le anse e i fondali del fiume come le sue tasche. Ogni volta che incrociamo qualche battello, allarga il giro. Probabilmente per nascondere il passeggero oibo. Varie volte cambia direzione. Si inoltra in rivoli secondari. Ne riesce e poi riparte. Manovre diversive per far perdere l'orientamento allo straniero? Giri necessari per evitare le secche? Niente domande.
Sulle rive e in mezzo al fiume, enormi fuochi si ergono maestosi. Sono le conseguenze dello sfruttamento del petrolio e del gas: le fiamme sono altissime, bruciano la foresta di mangrovie. Il letto d'acqua del fiume si confonde con le lingue di fuoco. Interpellata, la guida risponde laconica: "E' il petrolio". E non aggiunge una parola. Il paesaggio intorno è paradiso e inferno allo stesso tempo: la bellezza fiabesca delle mangrovie che si allungano nell'acqua e il minaccioso avanzare del fuoco. Sono colonne rosse incandescenti che tagliano in due il cielo scuro. Fanno paura e attraggono allo stesso tempo. Incrociamo alcuni battelli da trasporto. Superiamo una serie di installazioni petrolifere. Scorgiamo da lontano alcuni villaggi.
Tutto tace: nel delta non c'è elettricità, nonostante l'abbondanza di oro nero. Le comunità vivono in condizioni miserabili. Costrette a osservare nell'impotenza il loro ambiente degradarsi per lo sfruttamento indiscriminato del greggio. Costituita in maggioranza dagli Ijaw, la popolazione di questa regione ricchissima, da cui proviene la stragrande maggioranza del petrolio nigeriano, è stata sempre tenuta in disparte. Le rassicurazioni del presidente Obasanjo, che ha promesso sviluppo e lavoro per placare le ire dei giovani, non hanno convinto i combattenti. Che proseguono con le loro azioni di guerriglia e coi rapimenti.
(...)
La barca procede spedita. Poi, ad un tratto, il conducente urla qualcosa. Si avvicina a una rive. E' esattamente un'ora che viaggiamo sul fiume. La guida fa un segnale con la torcia. Rispondono altri segnali dalla riva. I due parlottano tra loro. Il timoniere gira la barca, fa rollare il motore, torna indietro. Due minuti dopo si infila in un affluente, avanza altri duecento metri e spegne tutto. Rimaniamo dieci minuti fermi, in mezzo all'acqua, in preda a zanzare fameliche. Il silenzio ha un che di irreale: si sentono in lontananza versi di uccelli, qualche bestia che si muove tra le mangrovie. La luna si riflette sull'acqua. Finché non si sente il rombo di un motore. Una barca si avvicina. Nuovi scambi di segnali luminosi. A torcia risponde torcia. Ci siamo. Due barche vengono verso di noi, si distinguono uomini incappucciati armati di tutto punto. E, al centro, tre persone dalla carnagione chiara. Sono gli ostaggi, che si guardano tra loro e scrutano sulla nostra speed-boat, interdetti dalla presenza dell'oibo. La barca accosta. I ribelli mi fanno salire sulla loro imbarcazione. Saluti e spiegazioni.
"Buona sera, come va?". Francesco Arena, Cosma Russo, Imad Saliba, sono visibilmente sorpresi. "Non ci avevano detto che avremmo incontrato un giornalista. Ci hanno solo intimato di salire sulla barca". Anche loro hanno fatto un lungo tragitto. Hanno viaggiato per circa un'ora sul fiume, probabilmente in direzione opposta alla nostra. Hanno la barba lunga. Lo sguardo affaticato ma vivido. Il morale molto basso. Chiedono in coro: "Ma l'Italia che fa?". I ribelli si fanno da parte. Permettono di parlare in italiano. Di filmare. Di fare fotografie. Persino di usare il microfono.
(...)
Quando dopo qualche ora Gbomo mi richiamò per sapere se tutto era andato per il meglio, gli feci gli auguri, anche a costo di contravvenire ai princìpi della deontologia giornalistica: "Good luck for your struggle".
(...) (Stefano Liberti, 2007)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Il Comunicato


Il 4 febbraio 2012 il Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (MEND) ha fatto esplodere un oleodotto che appartiene all'Eni-Agip. In un lungo comunicato firmato da Jomo Gbomo si minacciano attacchi alle compagnie petrolifere in tutta la regione del Delta e agli interessi del Sudafrica che tiene in carcere Henry Okah.


Sabato 4 febbraio alle 19.30, i combattenti del Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (MEND) hanno attaccato e distrutto un oleodotto dell' Eni-Agip a Brass nello stato di Bayelsa nella regione del Delta del Niger in Nigeria.
Questo attacco relativamente insignificante serve a ricordare la nostra presenza nelle insenature del Delta del Niger ed è un segnale di cosa potrà avvenire in seguito. Abbiamo costantemente messo in guardia i nigeriani su Goodluck Jonathan e il suo gruppo di idioti che governano la Nigeria. Gli eventi degli ultimi mesi hanno dato ragione alla nostra posizione sull'incapacità di questo imbecille di guidare la Nigeria se non verso il basso. Piuttosto che risolvere i problemi gravi che affliggono la nazione e i suoi cittadini, Goodluck Jonathan sperpera fondi pubblici per pagare capi tribali e teppisti che si definiscono ex-militanti. I nigeriani devono ignorare le chiacchiere roboanti di immaginari e presunti ex-militanti di altri gruppi che ora" cantano le lodi di Jonathan. Oltre a fare discorsi vuoti, non sono in grado di aiutare Jonathan in alcun modo. In realtà la maggior parte dei cosiddetti ex-militanti si nascondono ad Abuja e Lagos, e non si avventurano vicino ai loro villaggi nel Delta del Niger. Il nostro silenzio, finora, è stato una scelta strategica e al momento giusto sarà possibile ridurre la produzione nigeriana di petrolio a zero e allontanare dalla nostra terra le compagnie petrolifere che lo hanno rubato per decenni. British Petroleum è disposta a pagare 25 miliardi dollari di risarcimento per la fuoriuscita di petrolio del Golfo del Messico, ma per perdite ben peggiori nel Delta del Niger, il nostro popolo è stato pagato con la morte per mano dei militari nigeriani.
Nei giorni bui a venire, MTN, SACOIL (società sudafricane che hanno grandi interessi in Nigeria) e altri investimenti sudafricani pagheranno un prezzo pesante per l'interferenza di Jacob Zuma nella legittima lotta per la giustizia nel Delta del Niger. Il presidente sudafricano si è ridotto alla posizione di "servo" di Goodluck Jonathan.
Il Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (MEND) comprende l'impatto negativo che il nostro assalto l'industria petrolifera nigeriana avrà sul cittadino comune in un paese che si basa quasi esclusivamente su questa fonte di reddito. Purtroppo, un governo estremamente irresponsabile, si disinteressa della Nigeria ed è più preoccupato di arricchire se stesso e i membri della famiglia che a risolvere i problemi del Delta del Niger o lo standard di vita in continuo deprezzamento dei nigeriani. Un governo incapace di gestire le strade, le raffinerie, le centrali elettriche e le altre infrastrutture di base sta ancora una volta sprecando preziose risorse pubbliche in un comitato con il compito di investigare la fattibilità dell'energia nucleare per produrre energia elettrica. Il governo della Nigeria è sicuramente incapace di effettuare lo smaltimento dei rifiuti domestici. Come poi si prevede di affrontare il problema dello smaltimento delle scorie di energia nucleare? I Nigeriani devono sapere che il loro ignorante presidente è controllato da Obasanjo, dalle nazioni occidentali, da una moglie imbecille e un esercito di stregoni.
In questa nuova fase della nostra lotta per la giustizia, il Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (MEND) presterà molta attenzione a trattare con le forze di sicurezza e i traditori del Delta del Niger. A questo proposito, il Mend desidera confermare che i nostri combattenti sono responsabili per l'attacco a Ogbobagbene Burutu nell' area di governo locale del Delta State, al compound di Godsday Orubebe, Ministro per il Niger Delta. Consigliamo all'opinione pubblica di prendere molto sul serio, eventuali avvisi di imminenti bombardamenti. Tali avvertimenti precederanno sempre un attentato, fornendo un tempo sufficiente per l'evacuazione. Membri specifici dei servizi di sicurezza e dei mass media in aggiunta alla posta elettronica, riceveranno la notifica di un attacco imminente, tramite SMS al fine di minimizzare la possibilità di vittime civili. (Jomo Gbomo) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 
 
 
 
L'insurrezione del Delta ci parla,
ci chiede conto del nostro silenzio e della nostra complicità.
Gli ultimatum sono scaduti da tempo,
uno dopo l'altro,
senza che noi smettessimo di far finta di non sentire.
I guerrieri del Delta hanno l'orgoglio,
la dignità, la disperazione, e il coraggio.
A noi non sono rimasti che i privilegi e gli alibi.
Loro hanno cominciato. Noi cosa vogliamo fare?
 
 
Daniele Pepino

 

 

 

 

Sotto le continue incursioni dei corpi speciali e della polizia nigeriana al soldo delle compagnie petrolifere decise a stroncare ogni possibile protesta, la popolazione indigena ha preso la via della lotta armata. "Delta oil's dirty business", di Yorgos Avgeropoulos, mostra, per la prima volta dall'interno, la vita rischiosa dei componenti di uno di questi gruppi, il MEND, Movement for the Emancipation of the Niger Delta, decisi in ogni modo a porre fine alla devastazione della loro terra.

 

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